Ogni persona ha un posto nel mondo dove si sente a casa: talvolta coincide con quello dove si è nati, altre lo si deve cercare. Mi chiamo Richard e credo di aver trovato il mio posto in Sicilia, a Graniti per l’esattezza, anche se arrivo da molto lontano. Mia madre è cinese delle Hawaii e mio padre è americano di origini europee: francesi, inglesi, irlandesi, olandesi, tedesche, e forse anche italiane. Sono un hapa haole, così si chiamano gli hawaiani con antenati di provenienza europea. Ho 48 anni e sono cresciuto nei boschi della Virginia. Ho vissuto un’infanzia ricca di esperienze diverse tra Stati Uniti continentali e Hawaii. A 17 anni, sono partito per studiare ingegneria all’università di Berkeley, in California. Nello stesso periodo ho proseguito gli studi di pittura, mia passione da sempre, e mi sono laureato al San Francisco Art Institute. Per pagare gli studi ho svolto mille lavoretti e dopo la laurea ho aperto una mia società di progettazione grafica e di sviluppo web, ma non ho mai smesso di dedicarmi a progetti artistici. A San Francisco ho vissuto 14 anni molto intensi nei quali la società che avevo creato è diventata una realtà importante. Ma a un certo punto ho sentito il bisogno di tornare dalla mia famiglia, così mi sono trasferito alle Hawaii. Stare vicino a mia nonna che aveva 90 anni e trascorrere ancora tempo con lei mi ha fatto ritrovare il senso delle mie origini. Alle Hawaii, mentre lavoravo nel settore del design tecnologico, ho dato libero spazio alla mia parte creativa e ho fondato con l’artista Gelareh Khoie e Harvey, famoso deejay internazionale, “Thirtyninehotel”, uno spazio multimediale che ha avuto molti riconoscimenti. Insieme ad altri artisti locali ho partecipato attivamente alla rinascita del quartiere cinese di Honolulu e contribuito al lancio di “Showdown in Chinatown”, un festival cinematografico che dura due giorni e promuove l’arte visiva come mezzo di espressione. Progetti che mi hanno entusiasmato molto. Eppure mi mancava qualcosa. Nel 2014 ero ancora alle Hawaii e lavoravo come direttore creativo di una società di web design. Ero impegnato, guadagnavo bene, ma lavoravo molte ore al giorno per tutta la settimana, spesso anche la domenica, e non ero più felice. Negli ultimi cinque anni non mi ero concesso una vacanza e i miei livelli di stress erano pari a un soul-crushing che in italiano si può tradurre come “schiacciamento dell’anima”. Ero talmente occupato da non rendermi conto che non sognavo più. Quell’estate ho preso finalmente un periodo di riposo e sono approdato a Istanbul.
La città dei due continenti mi ha avvolto con il suo fascino conturbante. Ho trascorso intere giornate a esplorare strade sconosciute e la mia passione per la fotografia è riemersa, travolgendomi. Ho scattato migliaia di foto e preparato infiniti bozzetti nel calore bollente delle giornate estive. Per la prima volta dopo anni mi sentivo felice, avevo ritrovato l’entusiasmo di iniziare ogni nuova giornata facendo qualcosa che mi piaceva veramente. Quello ero io. Così ho deciso di cambiare. Spesso quando racconto come mi sentivo negli ultimi tempi a Honolulu, le persone mi guardano stupite, abituate a considerare le Hawaii una sorta di paradiso terrestre: effettivamente lo sono, ma per me era arrivato il momento di cambiare. Sapevo che quello non era ancora il posto dove sarei stato bene al cento per cento. Sei mesi dopo, ho lasciato le Hawaii e sono partito per Istanbul. Non posso nascondere che all’inizio avevo paura. Steso sul letto, passavo ore senza dormire e mi affollavano la testa mille domande sul mio futuro. I dubbi erano feroci ma allo stesso tempo cercavo di dare un nuovo ordine alla mia vita. Di giorno le cose da fare sembravano più semplici, le paure che mi assalivano meno gigantesche di quando scendeva la notte, così sono andato avanti. Ho trovato un locale per aprire uno studio, volevo esprimere le mie idee artistiche senza pensare solo al guadagno. Ho realizzato una nuova serie di dipinti, ho elaborato dei soggetti in video e mi sono avvicinato alla lavorazione della pelle.
Nel frattempo, ho fatto domanda per un paio di residenze d’arte, una a Istanbul e l’altra a Graniti, in Sicilia. Le residenze d’arte sono dei luoghi messi a disposizione da associazioni culturali o enti statali e locali: ospitano artisti provenienti da varie parti del mondo perché portino in quel luogo la loro arte. In questo modo mi sono ritrovato per la prima volta in Sicilia, dove ho deciso di restare. Istanbul è una città bellissima che ho amato, è stata un’esperienza artistica incredibile, ma sentivo che non era ancora il “mio posto”. Graniti è un piccolo paese nell’entroterra messinese, a due passi dal mare, da dove si può ammirare l’Etna: mi ha immediatamente coinvolto a livello emotivo e lavorativo. Ho realizzato un murale sulla parete di un vecchio frantoio per l’olio d’oliva commissionato dall’associazione “Graniti Murales”. Rappresenta il lavoro che veniva svolto all’interno. Volevo creare qualcosa di vivace, che fosse degno della cultura siciliana. Due anni fa, “Graniti Murales” è diventato “Art Project Graniti”, un’associazione culturale senza scopo di lucro, nata per promuovere il paese attraverso l’arte e i murales e io ne sono diventato il direttore artistico. La nostra missione è anche di ispirare, educare e sviluppare il popolo della valle dell’Alcantara, non solo Graniti, e questo mi dà una grande soddisfazione. Le nostre opere sono piaciute così tanto che l’amministrazione ha promosso la realizzazione di altri murales nella zona storica del paese. Oggi ce ne sono circa 35, creati da artisti di ogni parte del mondo. L’iniziativa ha avuto successo e oggi Graniti è un paese “dipinto”, è conosciuto come il “paese dei murales”. Innamorarsi di quest’isola è stato naturale perché è un posto incredibile per diversi fattori: le montagne, il mare, la gente che la abita e non ultimo il cibo. La Sicilia è simile alle Hawaii, a cui resto molto legato, ma rispetto a lì, dove è sempre estate, qui le stagioni sono diverse l’una dall’altra! Ho capito che voglio vivere in un posto dove il clima è vario e l’alternarsi delle stagioni segna il ritmo della vita che cambia sempre.
A Graniti ho sentito sin da subito di aver trovato casa e gli abitanti del luogo mi hanno accolto con un’ospitalità che non ha eguali in altre parti del mondo. Mi piace come vivono i siciliani a contatto con la terra e la natura, in un luogo bellissimo, con paesaggi vari e una storia antica. In Sicilia mi sento a casa e trovo grande ispirazione; per questo porto sempre con me la mia macchina fotografica. Quando ho bisogno di trovare idee, mi basta uscire, andare in montagna, oppure al mare. Volevo proprio restare in Sicilia, così ho ripreso la fabbricazione di articoli in pelle.
Ho sempre avuto una passione per le borse anni Cinquanta, indistruttibili, pratiche e raffinate come pezzi unici fatti a mano. Nella capitale turca, quasi in preda a un raptus, mi ero avventurato nel distretto calzaturiero di Gedikpasa ed ero tornato a casa con un set di strumenti e della pelle grezza. Il mio primo progetto è stato intagliare il pellame per creare una cintura. Di lì a poco è arrivata la prima borsa e ho capito che con quel lavoro potevo conciliare i miei interessi per l’arte, l’ingegneria e il design e sono andato avanti. Piano piano è emerso un mio stile che potrei definire minimalista. Ogni volta riesco a dare ai miei prodotti un design particolare ed è come trovare un’elegante soluzione a un’equazione matematica. Cerco sempre idee nuove per gli oggetti che realizzo perché credo che ogni borsa e ogni accessorio debbano essere unici e fatti per durare il più a lungo possibile. Devono diventare per la persona che li usa un compagno di viaggio. Il mio brand, Relje, è l’evoluzione del mio cognome. Un tributo alle mie radici, a quelli che sono venuti prima di me e che per diverse generazioni hanno viaggiato da un Paese all’altro. I miei prodotti, tutti in pelle italiana, sono creazioni realizzate “su misura”. Mi piace molto lavorare con il cuoio, mi piace il suo odore, la consistenza, toccarlo, lavorarlo. Nel mio laboratorio cerco di usare materiale naturale che non faccia danni all’ambiente. Uso solo pelle conciata al vegetale, un processo lungo, ma naturale. Ho scelto due concerie che considero le migliori. Si trovano in Toscana, fanno solo concia vegetale e sono sempre alla ricerca di nuovi modi per migliorare il processo e tutelare l’ambiente.
Ogni volta che posso, però, cerco di sostenere le imprese locali. Sto sperimentando materiali alternativi come il sughero e la fibra di cactus. Spero di continuare a lavorare e di far crescere il mio laboratorio, così da poter aiutare a prosperare anche le persone che vivono in questo territorio. L’idea è di insegnare il mio lavoro a giovani siciliani.
Se mi dovessi definire, direi che mi sento artista, designer, fotografo, direttore artistico e, oggi, anche artigiano. Ma soprattutto, sono un uomo che ha trovato il suo posto nel mondo.●
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