“Il tempo dell’attesa” di Giovanna Brunitto, pubblicata sul n. 2 di Confidenze, è la storia più apprezzata della settimana sulla Pagina Facebook. Ve la riproponiamo sul blog
Mi sentivo sola. Le giornate erano vuote con mia figlia lontana insieme al mio ex marito. Camminare lungo il fiume immerso nella foschia alleviava la sensazione che la vita non avesse più niente in serbo per me. Eppure, mi sbagliavo
Storia vera di Simona C. raccolta da Giovanna Brunitto
Nel mese di dicembre il sole ha un’inclinazione particolare e i suoi raggi di luce si diramano dal cielo regalando alla natura toni dorati, unici. I tiepidi pomeriggi di certe domeniche invernali sono un balsamo per l’anima. Se non si fosse capito, amo il mese di dicembre. Adoro il Natale e tutto ciò che questa festa meravigliosa porta con sé. Mi piace preparare regali e cenoni. Sono golosa di mandarini e di panettone, delle castagne ancora rimaste e degli ultimi melograni maturi. E più di ogni altra cosa amo la luce di dicembre. Vivo in una piccola cittadina nei pressi del fiume Adda. Da casa non lo vedo, ma la nebbia del mattino me lo rammenta.
Uscire all’aperto e scorgere la foschia che avvolge casa mi rassicura, mi dà la sensazione di un abbraccio naturale che il fiume regala a chi ha la pazienza di vivergli vicino. Quando mi sono trasferita, non pensavo che mi sarei affezionata così tanto a questo luogo.
Dieci anni fa, io e Stefano ci siamo sposati e abbiamo scelto di venire a vivere qui. Rispetto alla grande città, la provincia offriva abitazioni meno care e più spaziose. A Stefano questa casa è piaciuta poco fin da subito, ma non è questo il motivo che ha fatto naufragare il nostro matrimonio. Se devo essere sincera fino in fondo, ammetto che la nostra storia non ha mai funzionato bene. Lo sapevo sin da quando eravamo fidanzati: dentro di me sentivo che non gli piacevo veramente, ma io l’amavo e, pur di stargli vicino, non mi importava di ricevere meno di quello che davo. Pensavo che il mio amore sarebbe bastato per entrambi e invece non è stato così. Quando è arrivata Alice, due anni dopo il matrimonio, la mia attenzione è stata calamitata dalla bambina mentre quella di Stefano si è rivolta altrove. Ho tenuto duro per un po’, ho fatto finta di non accorgermi di qualche tradimento, ma all’ennesimo mi sono ribellata. Se avesse avuto un’amante stabile, forse avrei fatto finta di niente ancora per qualche anno, ma sapere che passava da un letto a un altro come se fosse stato un ragazzino senza nessun impegno mi ha costretta a guardare in faccia la realtà. L’uomo che avevo sposato e col quale avevo avuto una stupenda bambina era lontano dal compagno che avevo sognato. Messo davanti alla verità, Stefano aveva deciso di andarsene.
Per lui era troppo soffocante vivere con me e Alice. Una volta fuori casa, però, mio marito ha ritrovato un forte desiderio di paternità stupendosene lui per primo. Non avrei mai detto che potesse essere un genitore così attento, premuroso e presente. All’inizio pensavo a un capriccio passeggero, come ce n’erano stati tanti, poi ho capito che era vero amore per la nostra bambina e mi sono tranquillizzata. Il nostro matrimonio era naufragato, ma come genitori potevamo andare avanti bene. E così è stato. Io e Stefano, in effetti, siamo diventati più complici dopo la separazione di quanto lo fossimo quando eravamo sposati. Forse eravamo fatti per essere solo amici. La nostra Alice viveva con me e andava dal papà quando voleva. Non abbiamo fissato regole, cercando di gestire la situazione come meglio potevamo e mettendo al primo posto le esigenze della nostra bambina. A dicembre dell’anno scorso, Stefano mi ha chiesto se poteva portare Alice con lui per tutti i fine settimana del mese: presentava i suoi lavori grafici in diverse fiere natalizie e la voleva con sé. Non ho potuto dirgli di no. Alice era entusiasta di andare in giro con il suo “bellissimo papà” e io mi sono ritrovata senza figlia nel mese che solitamente si dedica alla famiglia. Per la prima volta mi sono sentita veramente sola. Il primo sabato sono uscita con alcuni amici, ho fatto compere, preparato regali e mi è rimasta comunque la giornata di domenica da riempire. Colmare una giornata vuota può essere difficile. Mi mancava tantissimo la mia Alice, ma sapevo che l’inquietudine che provavo era causata da qualcosa d’altro. È difficile da ammettere, in particolar modo per chi come me ha ricevuto un’educazione rigida, eppure sentivo il bisogno di riprendere ad amare e di essere amata. Ma per farlo dovevo abbattere una barriera che avevo costruito io stessa. Quando Stefano mi aveva lasciata, mi ero ripromessa che non avrei più amato nessuno ed ero rimasta ferma su questa decisione. Avevo ignorato le attenzioni di un collega che pur mi piaceva e avevo rifiutato gli inviti delle mie amiche che volevano presentarmi qualche uomo non accoppiato. Ignoravo il consiglio dei miei genitori di trovare un nuovo compagno e avevo gelato Stefano quando aveva accennato a qualcosa di simile. Era un argomento tabù persino con me stessa. Forse, mi addossavo tutta la colpa del fallimento del matrimonio, oppure avevo bisogno di tempo per superare il dolore della separazione. Ma davvero credevo che non avrei più amato e non avevo intenzione di rompere questa regola. Avevo conosciuto Stefano da ragazza, era stato l’unico uomo della mia vita: non me la sentivo di vivere un corteggiamento, non sapevo neanche se ne sarei stata capace. A 35 anni, mi sentivo vecchia.
Il secondo fine settimana di dicembre, per evitare un nuovo assalto di pensieri ossessivi, decisi di fare una passeggiata seguendo il lungofiume. Al ritorno, mi fermai su una panchina per godere del sole di mezzogiorno. A pochi metri da me un uomo stava pescando: indossava un cappellino di lana e il viso era nascosto da una sciarpa. Lo fissai senza che lui mi notasse. Ero affascinata dai movimenti quasi impercettibili che imprimeva alla canna da pesca. Poi all’improvviso la canna iniziò a tirare e lui la alzò facendo emergere dall’acqua una tinca gigante. Scoppiò a ridere, quindi si girò verso di me avvicinandosi. Mi mostrò il pesce con un tale orgoglio che mi fece sorridere. Dopo un attimo, la ributtò nel fiume e lei scomparve velocissima. Il pescatore tornò sempre sorridendo alla sua postazione e mi gridò che quella era una buona giornata. Mi salutò con un cenno del capo e tornò a concentrarsi sulla sua canna da pesca. Io rimasi lì a guardarlo non so per quanto tempo ancora.
Il mercoledì successivo accompagnai Alice a scuola e, come di consueto, aspettai che varcasse l’ingresso prima di allontanarmi. Mentre la osservavo entrare, si avvicinò un uomo e mi fece un cenno di saluto. Lo guardai riconoscendo subito il pescatore. Dopo aver ricambiato il saluto, presi la mia strada. Andammo avanti così per giorni, scambiando semplici saluti. Poi passammo alle classiche frasi di circostanza fino a quando nelle nostre conversazioni fece capolino il fiume tanto amato da tutti e due. Con l’arrivo della primavera, ci ritrovammo a passeggiare lungo l’argine. Il rapporto tra di noi si è sviluppato in modo tranquillo. Ha un carattere paziente, fondamentale per un pescatore come dice lui, e mi ha dato il tempo di ritrovare fiducia prima in me stessa, poi in lui. Mi ha anticipato che a Natale mi chiederà una cosa importante, che ha a che fare con una rinascita mia e sua. Non lo farò aspettare, gli dirò di sì.
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