Sono molto emozionata mentre mi avvicino alla sede dell’associazione La Nostra Famiglia di Cava dei Tirreni (Sa), che si occupa di bambini disabili. Mi accoglie Salvatore D’Arienzo, neuropsichiatra infantile, responsabile medico della struttura. «Il mondo va, il mondo chiede delle prestazioni, non è in grado di fermarsi ad aspettare nessuno. Il mio compito è quello di mediare fra la richiesta del mondo e il diritto di esserci dei disabili. Fornire degli strumenti ai bambini per conoscere le cose che poi nel tempo possono appassionarli. Perché è la passione che spesso viene negata al disabile. Vite che vanno avanti per negazione. Mi piace essere l’accompagnatore di questi bambini che ci dicono una cosa molto semplice: vogliono esserci».
Intanto ci raggiunge la direttrice del centro, la dottoressa Carmen Chiaramonte. «Questo centro nasce per volere della Provvidenza. Nel 1976 una mamma di Cava si diede da fare affinché la famiglia Ricciardi, proprietaria della villa in cui siamo, ci donasse questa proprietà per avviare i servizi dell’associazione La Nostra Famiglia, che era attiva in Lombardia, anche in Campania. Qui accogliamo più di 250 ragazzi in età evolutiva, fra ambulatorio e semiconvitto. Per arrivare a questo numero svolgiamo una grande opera di razionalizzazione delle risorse e degli spazi. “Il bene deve essere fatto bene era il motto del nostro fondatore, il Beato don Luigi Monza, a cui si ispirano tutti coloro che lavorano qui. Non basta la buona volontà, ci vogliono le competenze e gli strumenti. E l’aiuto costante della Provvidenza».
tante attività
È arrivato il momento che attendevo con trepidazione: quello di andare a conoscere i piccoli ospiti di Palazzo Ricciardi. Il responsabile medico mi porta nelle aule in cui si svolgono chinesiterapia, psicomotricità, logopedia, terapia occupazionale e neurovisiva. Faccio amicizia con Joele, un bambino allegro. Quando mi vede scattare qualche foto, mi ammonisce perché ho saltato qualcuno dei suoi amici. Io gli dico che non volevo disturbare troppo, che i suoi compagni devono essere d’accordo. Allora Joele passa in rassegna la classe chiedendo chi vuole la foto. E tutti i bambini, uno dopo l’altro, chi urlando sì, chi annuendo timidamente, accettano. Vogliono esserci, mi vengono in mente le parole di Salvatore. Poi andiamo a fare visita alla classetta di bambini autistici.
«Il nostro progetto ha un’anima emotivo-relazionale e cognitivo-comportamentale. La classe si avvale dell’ambiente scuola, l’ambiente del pasto e quello delle attività. Siamo partiti tre anni fa; quest’anno i primi bambini arrivati sono in prima elementare e tornano al Centro per il pasto e le attività pomeridiane; la mattina accogliamo altri piccoletti di tre anni. I veterani che hanno iniziato la scuola primaria fuori di qui hanno reagito bene, erano stati progressivamente adattati alla realtà esterna. Questo per noi è un grande successo. Fino a qualche tempo fa i bambini autistici vivevano come una violenza l’inserimento a scuola e le loro reazioni catastrofiche venivano gestite solo con i farmaci. Si pretendeva di sollevare il contesto da un problema, ma non ci si prendeva cura della manifestazione di un disagio del bambino» mi spiega Salvatore.
Dopo pranzo incontro Alfredo, papà di Alice e Vittoria, due gemelle bellissime di sei anni che frequentano La Nostra Famiglia a semiconvitto.
«Quando mia moglie restò incinta per la seconda volta sperai che ci arrivasse un altro figlio maschio, come Vincenzo, il primogenito. Pensai che di una femmina sarei stato geloso; sono un pianista, m’immaginai mia figlia adolescente, con la minigonna, nei locali in cui vado a suonare. Nelle mie bambine il CHT2, che è un gene regolatore, si è mutato a tal punto da non esistere più. Hanno frequenti crisi epilettiche resistenti ai farmaci e disturbi dello spettro autistico. La patologia delle mie figlie è rarissima, non sappiamo che evoluzione avrà: ne sono affetti un centinaio di bambini in tutto il mondo e il loro è l’unico caso gemellare. Quando una sindrome è tanto rara, non c’è interesse a studiarla. Io penso che le mie bimbe non siano capitate a me per caso. Forse io sono il bicchiere mezzo vuoto perché gli altri possano godere del loro bicchiere mezzo pieno. So che Alice e Vittoria non vivono come le loro coetanee, ma le vedo felici e allora sto bene anch’io. Con mia moglie ci amiamo tantissimo e ci facciamo forza l’un l’altro: abbiamo tre figli da crescere e proteggere. A La Nostra Famiglia siamo arrivati da un paio d’anni, di centri ne abbiamo girati tanti. Qui siamo al top, Alice e Vittoria sono in mano a professionisti bravissimi, e ancora si respira una grande umanità in questo posto, che parte dal giardiniere e passa per tutti gli operatori fino alla direttrice. Qui ho conosciuto la dottoressa Mariateresa Ingenito che ci informa sulle linee guida che stanno affrontando con le gemelle; a me ha aiutato tantissimo parlare con lei, anche quando volevo tenere stipato il mio dolore; lei con due domande mi è entrata dentro e dopo mi sono sentito meglio».
Si è fatto buio, devo andarmene. Sento che questa giornata a La Nostra Famiglia mi ha arricchita profondamente. Il sorriso dei bambini. La grande fede in Dio della direttrice. La presenza materna di tutti gli operatori che ho incontrato. L’amore per i suoi figli che luccicava negli occhi di Alfredo. Prendo tutto e lo porto via con me. ●
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