Fino a che punto è giusto spingersi per avere un figlio a tutti i costi? È difficile dare una risposta oggettiva a un argomento così intimo e personale, specie poi quando la scienza ci offre la speranza della fecondazione assistita e in alcuni Paesi anche della maternità surrogata. È più facile perdersi in commenti scontati come: «ma perché non adotta uno invece di sottoporsi a cure estenuanti» o «ci sono tanti modi per stare vicino ai bambini che soffrono».
Io posso solo raccontare la mia esperienza personale di mamma, oggi felice, che ha faticato non poco per raggiungere questa condizione.
Quando quindici anni fa cominciai a pensare di avere un figlio non ero più una ragazzina, ma come tante mie coetanee, mi cullavo nell’illusione che si potesse diventare facilmente madre anche a una certa età. Mi sbagliavo e questa fu la prima delusione. A 37 anni mi sentii dire che dopo i 35 le probabilità diminuivano e che aumentava il rischio che la gravidanza non arrivasse a termine. Ma intanto il mio orologio biologico correva e il desiderio di maternità cresceva di pari passo ai tentativi mancati.
Di quel periodo ricordo due cose: il pensiero totalizzante di avere un figlio che mi faceva vedere passeggini e mamme felici a ogni angolo della strada e il senso di smarrimento provato quando dovetti sottopormi a una serie di accertamenti che erano solo i prodromi delle cure della fecondazione assistita.
Ricordo il corridoio di una grande ospedale milanese dove campeggiava il cartello “Cure per la sterilità di coppia” e chi vi entrava aveva sempre lo sguardo basso, imbarazzato e triste; nella maggior parte dei casi erano donne sole, non accompagnate dai propri compagni.
Mentre aspettavo il mio turno per l’ecografia di rito pensavo ai volti che mi stavano di fronte, alcune erano ragazze molto più giovani di me, ciascuna assorta nei propri pensieri e poco propensa a raccontarsi. Senza sapere neppure i nostri nomi condividevamo la stessa intima frustrazione di non riuscire a diventare madri. Io mi sentivo come se avessi avuto appiccicata un’etichetta addosso.
Per me durarono poco quegli appuntamenti in ospedale, rimasi incinta quasi subito, ma in quel periodo sperimentai su me stessa cosa significhi desiderare tanto un figlio e non riuscire ad averlo, avvertii una misteriosa forza che mi avrebbe portata con certezza ad affrontare ogni cura, anche la più dolorosa ed estenuante, pur di coronare quel sogno.
Per questo mi sono sentita particolarmente solidale con Jessica nel leggere su Confidenze la sua testimonianza, nella storia vera “Avrò cura di noi due”, raccolta da Nicola Pistoia. Jessica sta ancora sperando che il suo miracolo si avveri e che possa presto diventare mamma. Coraggio Jessica, vorrei dirle, non disperare. E che il 2017 possa esaudire tutti i tuoi desideri.
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