Racconto di una scrittrice
di Teresa AvertaDire o non dire :- dipende però, anche dall’accoglienza che la parola incontra… Io ci ho provato a scrivere questo breve racconto poiché SENTO molto la “Giornata della Memoria”…. Eravamo sotto l’occupazione tedesca… Ero una maestra e scrittrice ebrea, insegnavo in una scuola del confine Francese…In quel periodo di grande persecuzione, gli ebrei erano prima costretti a portare la stella gialla, poi erano allontanati da ogni luogo pubblico, dal loro impiego, dalle scuole.Anni oscuri e dolorosi mi avevano tanto segnato… quanto quei vagoni riempiti di bambini ebrei alla stazione.Ignoravo tutto,allora, dei metodi di sterminio nazisti. E chi avrebbe potuto immaginarli! Ma quegli agnellini strappati alle loro madri superavano già quello che avrei creduto possibile.Un sogno che ha finito di dissiparsi per me davanti a quei vagoni carichi di bambini. Amavo tanto i bambini… ero sempre a contatto con quelle piccole grandi creature che illuminavano il mondo.E tuttavia, ero lontana mille miglia dal pensare che andassero a rifornire le camere a gas e i forni crematori… invece, mio Dio era vero… era tremendamente vero!Nel Lager ho sentito con molta forza il pudore violato, il disprezzo dei nazisti verso uomini, donne e bambini: tutte vittime umiliate.E tuttavia io di questo, allora, non ero consapevole.Solo, quando anch’io fui prigioniera, incominciai a capire… solo quando fui dietro a quelle sbarre maledette, tutto mi apparve dannatamente vero.E da lì non vedevo più il mare… non vedevo la mia famiglia, non vedevo i miei amici, non riuscivo a vedere più i miei alunni né a pensare che fossero maltrattati dai quei mostri disumani.Poveri angeli indifesi…poveri piccoli cristi!Nell’attesa spasmodica e angosciante, pensavo che una volta che ero stata arrestata, tempo una settimana sarei morta e tutta la mia vita, con l’infinito che io sentivo dentro di me, sarebbe spazzato fuori …Potevo solamente sognare… come sarebbe stato bello se solo fossi potuta uscire da quelle sbarre.Non potendo scrivere… la mia fantasia volava, correva… attraversava muri sporchi e sbarre d’acciaio…nell’aria solo il silenzio degli innocenti.Il mio pensiero inquieto fuggiva, come evaso, in cerca di libertà ma in un cielo nero… senza luce e senza speranza.Il mio respiro si faceva corto e mi arrampicavo sulle sbarre -con le mani fino a farle sanguinare- quando udivo quelle urla strazianti nell’aria per cercare di guardare oltre… oltre l’umano… oltre il limite… oltre la vita dove il silenzio faceva spazio alla morte.Volevo essere una farfalla e volare. Uscire da quelle sbarre, da quella prigione… Sapevo ormai la sopraffazione, la vergogna, la brutale umiliazione che ci spogliava della nostra umanità, e con essa anche della nostra femminilità.Ero ancora viva ma mi sentivo già morta. Sentivo che il tempo si era fermato per me, era il tempo dell’odio, dell’ingiustizia, ma era anche il tempo di Dio.In quel tempo noi tutti, compresa me, dovevamo concentrarci nel perdono, nel perdonare chi ci aveva rinchiuso, chi ci aveva torturato, chi ci aveva annientato.Quando uscirò da questa prigione, -mi dicevo- il mio unico debito verso Dio sarà solo quello di perdonare il mio fratello prossimo, farò come vuole il mio Dio, farò come vuole il mio Gesù’ con la purezza dell’infanzia e la poesia del cuore.Non so se sono uscita dalla prigione. So solo che sono morta e rinata… Nascere per caso, nascere donna, nascere povera, nascere ebrea è troppo in una sola vita!Oggi, sono solo una povera e umile scrittrice che ha provato a immedesimarsi in una “grande donna” che ha donato la sua vita per l’umanità.Oggi non mi fa più paura il silenzio dei morti perché la Memoria dei giusti ne parla. Mi fa paura invece il silenzio dei vivi… di quelli che purtroppo hanno già dimenticato.