Il figlio di 16 anni fuma hashish. La madre, per farlo smettere, tenta con un disperato atto di fede verso l’autorità, e chiama la Guardia di Finanza (ti spavento e non lo farai più).
Un atto ostile, lo sa, un atto di guerra. Ma non immagina quanto. Mentre i finanzieri perquisiscono la sua stanza, il figlio si butta dalla finestra. Di Giovanni Bianchi, detto Gio’, sappiamo solo che era infinitamente sensibile. Chi era Giò?
In foto ha un viso bello, intenso. Non era un asociale né un disadattato, anzi aveva una grande passione, il calcio, ed era il campione della sua squadra. Sappiamo solo che fumava spinelli, ma non cosa cercava nel fumo, né quali erano le sue paure e i suoi sogni.
La madre ai funerali pronuncia un discorso, esaltato e criticato dai media. “Una madre coraggiosa!”. “Un discorso abominevole!”. Lei mi fa una grandissima pena. Con un figlio adottato, forse i rimorsi sono ancora più crudeli. Si è rivolta ai ragazzi, pregandoli di non usare le formule impersonali, di dirsi i loro sentimenti con le parole che vengono da dentro, invece di mandarsi le faccette. Ho trovato straziante che abbia ringraziato la Guardia di Finanza. Un doloroso atto di onestà per scagionare quegli uomini dagli attacchi e assumersi la responsabilità, chiarendo pubblicamente che era stata lei a chiamarli. Mi ha lasciato perplessa la seconda parte del discorso, dove dice ai genitori che hanno problemi coi figli di unirsi, di agire tutti insieme…
No, ci siamo troppo abituati a soluzioni che vengono dall’esterno, io credo che nessuno da fuori ci possa aiutare coi figli se non c’è già un rapporto di fiducia.
Oggi spesso i genitori si pongono davanti ai figli più come psicologi che come padre e madre- meno psicologia e più condivisione, toccarli, giocare alla vita con loro. Prima di capirli bisogna sentirli, i figli. Volersi più semplicemente bene. Spesso manca la simpatia, il rallegrasi l’uno dell’altro.
Ai tempi in cui ero figlia, I genitori erano autoritari, spesso ingiusti. E attraverso le loro ingiustizie imparavamo il senso della giustizia. Rappresentavano un mondo di valori che si volevano abbattere, per fare meglio, essere più giusti, più liberi. I nostri genitori ci davano soddisfazione: ti dovevi conquistare tutto. Il sesso, l’indipendenza, una nuova visione.
Tornare alla repressione? No, ma ricordarsi che quella era ANCHE una iniziazione. Anche noi eravamo degli sconosciuti per i nostri genitori, ma c’era una mitologia del racconto familiare, il racconto di storie comuni. Non sapevano di psicologia, non avevano il mito dei genitori perfetti. E non lo erano. Ma c’erano.
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