“«L’amore è come il cristallo. Quando si rompe, si rompe» le dissi la prima volta che ci lasciammo. Allora tentavamo ancora di rimettere insieme i cocci del vaso rotto in cui però non si vedeva con chiarezza dove fosse la frattura. No, non era più come prima. Non era neanche peggio di prima. Era diverso, perché adesso anche noi eravamo diversi.
In altri tempi credevo che l’amore mi avrebbe dato la felicità, che essere innamorato equivalesse a essere felice. Le mie relazioni non erano mai andate oltre quel primo stadio nel quale la persona amata ti fa scoppiare il petto e tutti i baci sanno di ciliegia. Ma l’uomo si abitua a tutto, perfino alla felicità. Non c’è nulla di meglio di una birra ghiacciata in un caldo giorno d’estate, ma la seconda birra già non procura lo stesso piacere; l’ottava è probabile che non solo non ti procuri piacere ma che ti procuri mal di stomaco.
Purtroppo, la teoria dei rendimenti decrescenti funziona anche se applicata all’amore”.
Antonio. Jean Charles. Ophélie.
Segnatevi questi tre nomi. E segnatevi il nome di Eugenia Rico. Cancellate, però. Tutte le idee malsane che vi siete fatti sugli amanti.
L’amore è tradimento? Sempre. Si tradisce la propria vita in ogni istante, quando si ama. Si consegna il proprio corpo, il proprio desiderio, tutto, all’altro.
Antonio era amico di Jean Charles. E Ophélie…beh, Ophélie è l’angolo acuto di una storia che racconta la malattia mentale e la malattia sentimentale in modo perfetto, veloce, spartano eppure ricchissimo. Un romanzo delicato e violento, dai rami resistenti e dalle gemme fragili.
Riassumere la vertigine del forte Antonio, l’eternità dell’etereo Jean Charles e la fragilità della testarda Ophélie si può fare in un solo modo. Con una poesia.
“Tutti gli uomini naufragati in me,
contro di me,
senza di me,
sono soltanto uno:
quello che non mi ha voluta,
quello che non ho voluto”.
È un libro da leggere. Da subire. Da accettare. È come la vita: altro. Altro dal sogno.
Eugenia Rico, Gli amanti, Elliot
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