Quando penso alla cattiveria umana, più che ai dittatori o ai delinquenti famosi, penso alla mia dirimpettaia di quando ero bambina, la sor’Angela, moglie del maestro Pini. Era fissata che tutti volevano derubarla. Perquisiva le serve, nella speranza di trovare segni di furto, per potersi scatenare nella punizione. Dalle tasche della povera Ida, che era raffreddata, estrasse un fazzoletto consunto, e la cacciò urlando davanti ai vicini, e minacciando la prigione. La sua gioia era umiliare e far del male. Vide la ragazza Lidia che parlava con un ragazzo, corse a far la spia dai suoi genitori, esagerando, e riuscì a farli separare.
Aveva una missione: contribuire all’infelicità altrui. Lei era sempre nel giusto. Con Dio se la vedeva lei. Era lei Dio, era la spada e il giudizio. E suo marito, docile, vinto, davanti ai suoi intrighi moriva di vergogna. Lei era contenta solo quando provocava danni.
Il maestro cominciò a tradirla, per avere la forza di sopportarla. La lista delle vittime della sor’Angela si allungava. Aveva rovinato la reputazione della vedova Lenzi levandole il pane, perché nessuno la voleva più a lavorare, di Menca la sarta, del fabbro Luisone…e controllava il marito, sospettandolo di tradirla ogni volta che si allontanava, anche quando diventarono vecchi.E da vecchio, lui, si allontanava sempre più spesso, senza far caso alle scenate, e mai lei riuscì a scoprire dove andava. Ma era sicura che avesse un’amante.
Poi lui morì. Lei preparò un funerale avaro, pensando che il maestro Pini fosse un uomo insignificante, e che ci sarebbero andati quattro gatti. Rimase sbalordita: la chiesa era gremita. Una folla, e continuavano ad arrivare…Ognuno aveva qualcosa da raccontare sul maestro. A me – disse la vedova Lenzi – dava i soldi per tirare avanti, dopo che la sor’Angela mi aveva rovinata. A me – disse la Lidia – fece riconciliare con il mio ragazzo. A me -disse Menca la sarta – fece tornare i clienti che lei mi aveva allontanato! A me ha risolto la situazione, disse il fabbro Luisone, e altri continuavano a raccontare.
Ecco le passeggiate segrete: il maestro era stato lo Zorro degli umiliati dalla moglie. Aveva dedicato la vita a riparare silenziosamente i suoi torti. Da giovane l’aveva tradita con le donne, da vecchio con la bontà. Lei, durante la cerimonia funebre, piangeva da strappare il cuore. Piangeva di rabbia. Per non poter più castigare la sua vittima che gli era sfuggita, in un’aura di beffarda e angelica vendetta Senza mantello e senza spada, quello Zorro di paese aveva tracciato una Zeta incandescente sul sedere del tenente Garcia, la sor’Angela, sua moglie.
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