La storia più apprezzata dalle lettrici questa settimana è “La pietà del nemico” di Annalucia Lomunno, pubblicata sul n. 16 di Confidenze. Ve la riproponiamo sul blog
Storia vera di Mara A. raccolta da Annalucia Lomunno
Ci era riuscito mio marito a uccidermi. A farmi morire dentro, intendo. Diciamo anche che mi strappava la vita giorno dopo giorno, e facciamo finta che ne avesse anche tutto il diritto. Io lo avevo tradito e lui doveva punirmi. Ipotizziamo quindi che fosse tutto okay. E che fosse anche giusto che la nostra vita matrimoniale non avesse più occhi, senso, intesa, voce, parole. Avrei preferito che mi cacciasse di casa, che chiedesse il divorzio, che mi sputasse addosso il suo prodigioso veleno, e che mi rendesse anche povera. E invece no, subivo il lusso e la condanna di aver sposato un uomo ricco e molto affermato professionalmente, un medico stimato, un eroe, un assoluto bastardo.
Quando mi ha scoperta tra le braccia di un altro non ha fatto una piega. Ma dopo un paio di mesi aveva già chiesto il trasferimento in un’altra città, concedendomi il suo regale perdono. L’idea era quella di ricostruire il nostro rapporto, in realtà voleva solo allontanarmi dal mio mondo per chiudermi in una prigione apparentemente dorata, destinandomi alla follia. Io dipendevo economicamente da lui, gli chiedevo i soldi per tutto. Controllava il mio portafoglio, il mio armadio, decideva il necessario e il superfluo, mi umiliava, sceglieva al posto mio, il cacciatore nascondeva la sua preda insanguinata. Si fece nuovi amici: colleghi di lavoro sempre pronti a osannare le sue gesta, a rinsaldarlo nel suo egocentrismo. E io non riuscivo a oppormi alla sua magnanimità punitiva, al suo sguardo di impietoso disprezzo. Avevo rinunciato a tutto per sposarlo. «Sei troppo bella per frequentare Medicina, potresti diventare una star» mi aveva detto quando ci eravamo conosciuti, e io avevo creduto alla perfezione delle sue tenaglie brillanti. Ero diventata sua moglie mentre lui si accaparrava un paio di specializzazioni ambite e lasciava a me il compito di decidere i fiori del bouquet. E io non vedevo che lui e un futuro passionale senza tormenti. Ma la sua totale e immediata, costante assenza, mi avevano resa una iena.
Ho iniziato a detestarlo perché il mio tempo era vuoto, perché mi trascurava, perché aveva fatto di me un essere umano senza carne, senza sogni, senza progetti, finta sovrana di un regno silenzioso che non era il mio. Io dipendevo dalla sua approvazione, sempre. E mi è bastato un attimo per tradirlo.
Ero diventata di vetro, in un momento di distrazione mi sono spezzata come un braccialetto non agganciato.
Ho trovato un idiota qualsiasi e ho appiccato un incendio. Ma volevo sentirmi importante, e trasgredire mi sembrava molto facile, addirittura necessario. Non prevedevo che mio marito Luca mi scoprisse, però è successo. Ed è successo perché ero comunque infelice, perché quel letto di frodo mi disgustava, perché volevo quella passione che lui mi negava. Sono inciampata con la grazia di un bufalo d’acqua e subivo la pietà di un uomo che mi teneva con sé solo per rimarcare quale nullità fossi senza di lui.
«Ho invitato gente a pranzo» mi diceva, «cerca di non fare danni in cucina perché ci tengo molto» aggiungeva, in quelle laconiche conversazioni domestiche che si contrapponevano alle trionfanti esibizioni pubbliche. Poi spariva nella sua vita e sbatteva temporaneamente la porta, girando la chiave due, tre, quattro volte. L’unica chiave. Non potevo uscire dunque, no, era chiaro che dipendevo dai suoi desideri, dalla sua volontà. Iniziavo a immaginare questi camici bianchi che mi avrebbero squartata con il bisturi se solo mi fossi permessa di sbagliare il timballo, ma non sorridevo. E in una fretta frenetica che mi rendeva ridicola, prendevo un ricettario e cominciavo a calcolare tempi, dosi e prospettive di cottura come se ne andasse di mezzo la sicurezza internazionale. Ero un’infiltrata, un’ammazzata, i miei giorni erano finiti e il mio nemico pretendeva mise en place impeccabili e pance sazie. Per calmarmi, cominciavo a immaginare la scena in anticipo. In fondo avrei ascoltato discorsi noti e avrei giusto assentito come chi fluttua nell’aria senza peso e/o precipita a terra come un mattone mal incastonato. Avrei preferito essere strangolata, davvero, e invece alle tredici in punto la mia tavola era perfetta, la mia performance altrettanto, e mio marito era talmente soddisfatto che a due minuti dalla fine dello show, prima che il sipario calasse su quella giornata, interrogava i suoi ospiti con una stravagante trovata, collaudata negli anni. «Ditemi» declamava con aria trionfante e la sua immancabile giacca blu, «se poteste esprimere un desiderio, dove vi piacerebbe essere in questo momento?». La faccenda apriva varchi d’ inimmaginabile potenza creativa.
In genere era il giorno del matrimonio ad avere la meglio. I miei ospiti bevevano parecchio e ricordavano quello che volevano e potevano. Eh sì, nozze e rozze tinozze, io mi assentavo dalla scena e provavo a sorridere per conto mio, non riuscendoci. Ma mio marito era pronto a sbaragliare tutti, dicendo che lui aveva voglia di ritornare a Las Vegas e solo per vedere la ricostruzione finta di Venezia. Quest’immagine sembrava quasi l’emblema della mia esistenza, del mio matrimonio, tanto quanto il silenzio interrogativo e attonito che seguiva a questa dichiarazione. Dovevo lasciarlo, e dovevo farlo per la mia salvezza, e non per infilarmi ancora nel letto sbagliato, ma per riprendere i miei studi e ritrovare me stessa. Quando ho deciso di scappare, mi sono resa conto che era quello che avevo sempre voluto. Che non ero stressata, straziata. Che non dovevo continuare a punirmi per quello che avevo fatto, né subire l’infinita condanna di un uomo che non mi voleva più da tempo, da molto prima che lo tradissi. La nostra crisi era lì a raccontarci che quelle radici erano estese e impossibili da recidere. Quando Luca mi ha vista abbandonare la casa, non era neanche sgomento, ma disgustato dalla mia ribellione. « Le cose potrebbero cambiare» ha urlato senza un filo di convinzione «Il matrimonio è come una medaglia, ha due lati». Ma io ero stanca di indossare una maschera e di sentirmi strozzata da due gomitoli di spaghi. Lui non mi avrebbe mai perdonata e io, dovevo riconquistare l’emozione di sentirmi viva.
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