“Questo deve essere maschio, per forza”. Bassano del Grappa, 1958. Un respiro di sollievo, la gioia e la commozione di un padre per l’arrivo del tanto atteso figlio maschio. Basta una scena per far trasparire tutta la considerazione che alcuni uomini avevano per le donne fino a qualche anno fa. Un passato da dimenticare? No, da ricordare, per fare meglio.
Lo fa perfettamente la fiction Rai Di padre in figlia (se l’avete persa potete rivederla qui). Ci sono cose per cui rimpiangere i vecchi tempi. Tempi in cui ricevere una lettera scritta a mano era tutto ciò che si potesse desiderare, in cui esisteva ancora il senso dell’attesa di una risposta, di una conquista. Oggi comunicare è molto più semplice, è immediato, facile. Ma lo è altrettanto perdersi e dimenticare quanto dobbiamo a quella generazione di operai, studenti, italiani che tanto per l’Italia e per i diritti delle donne hanno lottato. Eravamo noi i migranti. Da sud a nord. Da nord alle Americhe. In cerca di lavoro, di sogni, di vita. Sentendo la mancanza del mare, del cibo, della famiglia. Le donne dovevano fare le donne, le mamme, le mogli o lavori adatti a loro, non ambire a quelli degli uomini. E nel matrimonio non erano sempre indispensabili l’amore, il trasporto, la passione, bastava soddisfare le esigenze del proprio marito, aiutarlo, supportarlo, non lasciarlo solo. “Ma tu ancora pensi che la famiglia sia un riparo dalla solitudine? Hai un marito, quattro figli, e sei sempre stata sola”. Altro che vivere per sempre felici e contenti, la vita non è una favola e può trasformarsi in una trappola.
Ho trovato commuovente la capacità di chiedere scusa e perdonare dell’amante e della moglie di uno dei protagonisti, il cattivo patriarca Giovanni Franza. L’amicizia a volte può nascere in modi inaspettati. Poi tutto cambia. Arrivano gli anni ’70, il divorzio, le lavastoviglie. Cambiano i vestiti, la musica, ma non le emozioni, i sentimenti. “Una donna a capo di un’azienda, quella è la rivoluzione”. Forse, ma non solo. Ogni persona è diversa, nelle sue aspirazioni. Ogni storia è una storia a sé e ogni donna deve avere la possibilità di scegliere quale vita fare, e quale vita non fare. Facciamo un esempio con qualcosa che conosco bene. L’azienda di famiglia. I figli devono continuare il lavoro dei genitori, dei nonni? Dipende. Se c’è passione, volontà e desiderio di continuare in quella direzione allora sì, ne vale la pena. Credo sia tutt’altro che ordinario il poter prendere in mano e migliorare, rendere al passo con i tempi qualcosa creato da chi ci ha messo al mondo. Ma rifiutare il lavoro in famiglia e cercare altrove perché lì non potremmo esprimerci totalmente, o verremmo sottovalutati, è un atto altrettanto coraggioso.
“Siamo ancora in tempo per essere felici». Siamo sempre in tempo per essere felici. Tutto ciò a cui rinunci prima o poi ti chiede il conto, che si tratti d’amore o della carriera. Purtroppo è facile che certi paletti nascano proprio dalla famiglia, dalle aspettative non realistiche dei genitori, dall’incapacità ancora diffusissima di lasciare liberi i figli di realizzare se stessi per ciò che sono e non per quello che noi vorremmo che fossero.
Così può capitare che la paura di deludere un padre diventi più grande di quella di vivere la propria vita. Si comincia a mentire a se stessi e poi agli altri fino a creare un intreccio pericolosissimo che può solo andare a finire nel peggiore dei modi. Finché quel segreto non verrà svelato e ognuno potrà liberarsi dall’illusione della famiglia perfetta. Ma nulla è già scritto e nulla ti avvicina o ti allontana più di un grande dolore. Il dolore di una perdita o di una delusione.
La fiction si chiude all’inizio degli anni ’80 con le sorelle Franza libere di essere le donne che volevano essere, ma c’è ancora molta strada da fare e speriamo in un seguito che ci racconti la generazione dei trentenni di oggi, la mia, e di quelle a seguire.
“Per costruire il futuro non si deve distruggere il passato”, ma a volte è necessario distruggere l’ideale di famiglia che abbiamo, per diventarlo davvero.
Voi cosa ne pensate, famiglia si nasce o si diventa?
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