E poi, avvicinandomi al Muro, succede: è come se qualcosa mi parlasse, un’energia fortissima
«Lascia nel Muro una preghiera per me» mi dice mia mamma, appena prima della mia partenza per Gerusalemme. Questa città, culla della spiritualità, mix di culture, di popoli, di tradizioni, mille volte contesa nella storia, strappata, lacerata, ricomposta e sempre rifulgente, mi attira da tanto. E adesso, in una mattina inondata da una luce bianca che rimbalza sulle mura chiare che circondano la Città Vecchia, siamo qui. Io e mio marito, girando nel dedalo di stradine-suq che attraversano buona parte del centro storico, ci troviamo all’ingresso della grande spianata davanti al muro occidentale (come, più propriamente, si chiama il Muro del Pianto, nella foto). Luogo sacro dell’ebraismo, è parte di una struttura che circondava il Monte del Tempio, un’area talmente impregnata di storia e di religiosità per tutti i grandi monoteismi da essere unica al mondo.
Superati i controlli in entrata, ci troviamo in uno spazio aperto in fondo al quale, diviso in due settori, uomini da un lato e donne dall’altro, c’è il Muro dove gli abitanti e i visitatori da ogni parte del mondo vengono a pregare e a lasciare le proprie richieste, in minuscoli bigliettini infilati tra le pietre. Entro nell’area femminile e sono solo una turista che nota con curiosità quante donne ci sono qui, sedute o in piedi, in jeans o nella “divisa” delle ebree ortodosse, gonne lunghe, calze e scarpe chiuse, che pregano con le mani al petto o oscillando sui talloni. E poi, avvicinandomi al Muro, succede: è come se qualcosa mi parlasse, un’energia fortissima, che sento con un’intensità quasi fisica. Come se il muro restituisse quello che riceve da due millenni, ondate di emozione, di dolore, di speranza. Una corrente calda, avvolgente, che mi fa sentire parte di questa umanità attorno a me, ma anche delle generazioni prima e dopo di me, nel tempo. Commossa, scarabocchio un messaggio, una parola di pace. E mi viene naturale, come fanno tutte le altre, allontanarmi piano, senza voltare le spalle a quella silenziosa energia che è lì, ad ascoltare, accogliere, contenere. Poi, appena usciamo dall’area del Muro (aperta 24 ore su 24 e 365 giorni l’anno), basta rivedere i tanti gruppi di soldati armati in giro in città per ricordarci che le divisioni, l’aggressività, la guerra sono comunque vicinissime. Ma per un attimo non è stato così. Per un attimo ha vinto la sensazione di essere parte di un Tutto comune. Così, quando mia mamma mi chiede se ho lasciato una preghiera nel Muro, posso dirle di sì. Ma non l’ho lasciata per lei. L’ho lasciata per tutti.
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