“Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? Non può essere che non si rivolga affatto a una persona precisa, ma soltanto al desiderio in sé? Questa è la domanda. Oppure, nonostante tutto, si rivolge a una persona ben definita, alla stessa misteriosa persona che può essere indifferentemente buona o cattiva, senza che l’intensità del nostro sentimento dipenda in alcun modo dalle sue azioni e dalle sue qualità? Rispondi, se ne sei capace”.
Aprile 1998. La prima edizione, in Italia, tradotta dall’originale ungherese pubblicato nel 1942 da Marinella D’Alessandro, arrivò in quel mese. Il più crudele di tutti i mesi, lo definiva Eliot nella sua Terra Desolata. Aprile.
Non avevo ancora 24 anni. E di mesi crudeli avevo letto solo in poesia. Lo erano tutti, a quell’età. Non lo è mai nessuno. Un giorno sei felice, un giorno fai m’ama non m’ama con i romantici e noir Fiori del Male. Ma è tutta scena. È tutta vita ancora avanti.
Così ricordo che divorai questo libro. E lo amai moltissimo. A quasi 24 anni una trama così la puoi reggere e prendere tutto il buono: il senso di una morale cattoccidentale che senti e nel quale credi, la forma perfetta, il ricordo ancora recente di un viaggio fatto in Ungheria, luoghi che ritrovi tra le righe. Ma è tutto bello. È poesia. È fantascienza. È romanzo. Finzione.
Pochi giorni prima di partire per un viaggio in Canada, nel luglio di questo anno (luglio che mese è? Buono? Cattivo? Neutro?) questo libro mi è ricapitato tra le mani. L’ho lasciato in un posto sicuro. E quando sono tornata, nonostante una lista di libri ancora da leggere per la prima volta da capogiro, l’ho preso e…
…e una dopo l’altra, le pagine dell’orrore, tra le mie mani.
Il generale Henrik ha 75 anni. Vive solo con la balia Nini, 91 anni. Krisztina, sua moglie, è morta all’età di 30 anni. Anemia perniciosa, pare. Da 8 anni i due non si incontravano più. Lui viveva nel casino di caccia, lei a palazzo. Due ore di carrozza, il tempo per annullare la distanza siderale dei cuori. Nini dice che il suo, Henrik, è stato l’ultimo nome sussurrato prima che la vita se ne andasse via.
È arrivata una lettera. A Vienna, dopo 41 anni, è tornato lui. E vorrebbe incontrarlo a cena. Konrad. Avevano dieci anni quando nel collegio militare strinsero un patto di amicizia eterna. Da 41 anni Henrik aspetta di rivedere Konrad. Ci sono delle domande. C’è una verità che vorrebbe conoscere.
Se avete 24 anni e aprile è un mese che trasuda solo poesia e se nel cuore avete un’unica Stella Polare, leggete questo romanzo. È immenso.
Se invece quegli anni non li avete più e tra le mani vi è passata la vita vera…io non lo so, davvero non so se consigliarvi queste pagine, questo fuoco, nessuna brace, sono fiamme, fiamme alte, piene. Da ustione non di grado lieve.
Leggetelo solo se siete molto forti, facciamo così. O, in alternativa, se avete una caserma dei Pompieri non troppo lontana da dove siete adesso.
“La fedeltà non è forse una sorta di terribile egoismo e vanità, come lo sono la maggior parte delle esigenze umane?”
Sándor Márai, Le braci, Adelphi
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