Brutti e Cattivi

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Un film che toglie il velo di ipocrisia alla compassione pelosa verso i disabili, mostrandoceli per come sono: umani, capaci di tutto

Ma che bel film! Brutti e Cattivi di Cosimo Gomez è un folle viaggio, un atto di somma audacia, e una vera delizia,  nonostante le scene truci e repellenti, e anche per quelle. Claudio Santamaria è il Papero, spietato mendicante senza gambe, pazzo di sua moglie, bellissima e senza braccia (Sara Serraioni), che sa fare tutto coi piedi, scrivere, guidare, mandare al diavolo, truccarsi. Il Merda è un tossico sempre stonato, Plissé, alto un metro e dieci, è un genio matematico e mago delle casseforti. E sono tutti dei gran bastardi, avidi, crudeli, pronti a tradirsi.

Brutti e Cattivi ribalta il tavolo della compassione pelosa verso i disabili che li vuole angelicati, e all’ipocrita lettore cioè noi li rappresenta umani, capaci di tutto, ce li fa amare e odiare, ce li rende vicini, e ti entusiasmi di questa storia dove tutto è sognato, tutto è reale.

I nostri eroi riescono a rapinare una banca, e da lì parte la gara per eliminarsi a vicenda, per tenersi un bottino di 4 milioni. Il regista Gomez e lo sceneggiatore Luca Infascelli si sono permessi una libertà d’invenzione sfrenata.

Tutto si sono permessi, tutto, in un film che è un richiamo festoso alla storia del cinema, da Kubrick a Scola, ma soprattutto a Tod Browning, padre spirituale di Brutti e cattivi,  l’autore di Freaks (1932), il film dei film, storia di una compagnia viaggiante di “fenomeni da baraccone” dove i veri mostri sono i “normali”. Freaks suscitò un tale scandalo che Browning, artista immenso, fu scomunicato da Hollywood e cancellato dal cinema. La ragazza senza braccia adombra un altro straziante capolavoro di Browning, Lo sconosciuto, dove Alonzo (Lon Chaney), infallibile lanciatore di coltelli coi piedi, per amore di una donna si fa tagliare le braccia, e con ciò la perde.

Brutti e Cattivi, questo film generoso, pieno d’ingegno e di sulfurea tenerezza, tiene a mente la lezione del grande cinema americano, ma anche italiano del passato, dove quelli che sfilavano nel film anche per pochi secondi, anche il ragazzo del bar o un passero che entra dalla finestra, erano tutti dei personaggi, con un guizzo inaspettato, un carattere, che li rendeva indimenticabili.

Anche qui, nessuno appare invano, neanche l’autista del camion delle immondizie, o i figli assassini e complessati del criminale cinese. Imprevista fra queste anime nere arriva anche una santa senza aureola, una prostituta africana che, guidata dall’apparizione di una divinità forse induista, salva  il Papero quando, massacrato e buttato in un cassonetto, senza il suo aiuto morirebbe.

E in lei il Papero, un geniale Santamaria, trova la perfetta felicità. Il film è tutto sul filo del paradosso, e il paradosso richiede  maestria assoluta o è noiosissimo, mentre qui, per due ore appassionatamente diventi quei personaggi, esci dal mondo.

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