“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Era il 1972 e versava nel pieno del suo periodo combinatorio, Italo Calvino, quando pubblicò quest’opera immensa, universale oltre ogni periferia, borgata, metropoli.
Un gioco ad incastri poliedrico, un viaggio nell’immaginario seguendo insieme all’imperatore dei Tartari Kublai Khan il viaggio che attraverso 55 città (divise in 11 categorie) ha intrapreso Marco Polo.
Detta così, per chi non dovesse conoscere questo capolavoro, è davvero poca cosa, lo so.
Ma se vi dicessi che dentro queste pagine si nasconde un programma di lettura e analisi dei nostri luoghi dell’abitare? Se vi dicessi che dietro le parole guida di Marco Polo è possibile intravedere chiaramente l’indicazione di una possibile rivoluzione che vede nell’uomo, nei suoi bisogni e nelle sue vertigini, l’unica vera ragione di natura politica, la politica quella bella?
Sarebbe già molto, credo.
Ma se non mi fermassi e vi dicessi che il viaggio che Marco Polo intraprende in un regno apparentemente finito e delimitato, ma in realtà reso immenso dai significati, racconta e analizza senza metri di giudizio il viaggio che ognuno di noi dovrebbe compiere all’interno di se stesso, dei propri sterminati deserti?
Sarebbe sorprendente, vero?
E se concludessi dicendo che Calvino ha scritto un manuale sulla comunicazione, utilizzando le città come simboli, canali, ponti, messaggi, silenzi, incomprensioni?
Non ci credete, lo so.
Eppure non basta. Calvino (li avete presenti i suoi occhi?)
ha scritto una invisibile, splendida, poesia d’amore.
“Tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra”
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori
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