“Dall’Argentina con amore” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 3 di Confidenze, è la storia vera più apprezzata questa settimana sulla pagina Facebook. Ve la riproponiamo sul blog
Il film della mia vita è stato finora pieno di colpi di scena: primo tempo in Sudamerica, secondo tempo in Italia, la terra dei miei genitori. Cercavo una passione che nessuno mi aveva ancora dato. E l’ho trovata. Ma so che, presto o tardi, dovrò affrontare il passato che ho voluto lasciare
Storia vera di Teresa C. raccolta da Mariella Loi
Avevo diciotto anni quando mi sono sposata la prima volta in Argentina nel 1970 e di quel giorno di giugno ricordo soprattutto il gran caldo. Carlos, mio marito, di anni ne aveva ventuno, era un gran lavoratore, gli volevo bene ma non l’ho mai amato. Il matrimonio con lui è stato per me poco più di un rifugio, il modo più semplice per portarmi lontano dagli echi di un padre indolente, che quando beveva, diventava anche violento.
Mia madre non era mai stata veramente felice con lui e io la sua profonda infelicità l’avevo respirata talmente a lungo da farla mia.
A venticinque anni avevo due figli, un giardino curato e nessun desiderio nella testa e nel cuore.
Guardavo mia cugina Greta che a quaranta era già nonna e mi domandavo in silenzio se anche per me il destino non avesse in serbo altro che un futuro come quello.
Nell’estate del 1982 si giocavano i Mondiali di calcio in Spagna, dormivo poco in quel periodo, guardavo le partite anche di notte e sempre più spesso mi scoprivo a sognare di posti lontani. Madrid, Venezia, Roma, quelle erano le città che avrei voluto visitare, le vite che avrei voluto vivere. Lontana dal mio ritmo quotidiano e libera da legami, sognavo di poter riscrivere la mia storia, dando nuove chances a me stessa.
Mia cugina Lourdes, di poco più grande di me, l’aveva fatto e qualche anno dopo essersi separata dal marito, era andata a vivere in Spagna.
Io invece sognavo soprattutto l’Italia, desideravo poter fare all’incontrario il viaggio che tanti anni prima avevano fatto i miei genitori, lasciando la campagna veneta, alla ricerca di un futuro migliore per sé e i propri figli, in Sudamerica.
Mi cullavo in queste fantasie, quando inaspettatamente mia madre mi comunicò la sua decisione di chiudere l’attività commerciale che da anni gestiva da sola.
Da tempo la crisi economica che attanagliava il nostro Paese non rendeva più profittevole tenere un negozio: per questo mi disse che stava pensando, per qualche tempo, di trasferirsi in Italia al seguito di sua sorella Maria che era emigrata l’anno prima.
Non ero molto legata ai miei fratelli, ancor meno a mio padre, per questo la notizia della partenza di mia madre mi gettò nel più totale sconforto.
La lasciai andare con grande dispiacere, promettendole che appena fosse stato possibile, l’avrei raggiunta, per vedere come si era sistemata.
Mia madre era sempre stata accorta nel prendere le sue decisioni e anche quella volta ci aveva visto giusto. L’anno successivo l’inflazione in Argentina arrivò a punte del 200 per cento e tra le tante aziende che chiusero per la crisi c’era anche quella per la quale lavorava Carlos.
Avevamo bisogno di soldi, tanti, così non ci pensai due volte, chiesi a mia madre di trovarmi un posto di lavoro in Italia e poco dopo partii alla volta di Roma.
Quattordici ore, tanto è durato il volo Buenos Aires-Madrid che ha fatto da spartiacque tra la mia prima e la seconda vita.
Era l’estate del 1983 e ancora ignoravo che non sarei mai più ritornata in Argentina.
Andai a vivere con mia madre e per circa tre anni lavorai come governante presso una famiglia romana benestante che viveva all’Eur.
Mi pagavano molto bene e questo mi consentiva di inviare tutti i mesi una discreta somma di denaro a mio marito e ai miei figli.
Nel frattempo Carlos aveva trovato un altro lavoro, grazie a suo fratello che aveva un garage da meccanico, ma nonostante questo, né lui accennò mai a un mio possibile rientro in patria né io sollevai mai la questione.
Dopo tre anni di lontananza da casa, il mio distacco da Carlos si era fatto completo e mi capitava, sempre più spesso, di soffermarmi per strada, a guardare altri uomini di cui incrociavo lo sguardo.
Mario lo conobbi al quarto anno di permanenza in Italia, durante una gita a Frascati con il gruppo della parrocchia che frequentavo, fin da quando mi ero trasferita a Roma.
Era un uomo gentile con il quale mi trovai fin da subito perfettamente a mio agio, così mi risultò del tutto naturale confidarmi con lui, quando seppi che Carlos aveva cominciato a frequentare un’altra donna, una nostra vicina di casa, che io conoscevo molto bene.
Pensavo seriamente a chiedere il divorzio, quando inaspettatamente Carlos, insieme alla sua nuova compagna, decise di lasciare Buenos Aires, portando con sé i nostri figli, meta una destinazione ignota e a partire da quel momento, per alcuni anni, non ebbi più notizie di loro.
All’inizio mi preoccupai enormemente di quella situazione, poi dopo il primo attimo di sgomento mi tranquillizzai, pensando che Carlos, che era sempre stato un buon padre, avrebbe saputo provvedere a loro nel migliore dei modi.
È brutto a dirsi, ne sono consapevole, ma in qualche modo fu come se mi fossi liberata di un peso e dopo tanti anni passati a preoccuparmi per gli altri, mi sentivo finalmente libera, libera di vivere la mia vita, libera di amare.
Fu solo da quel momento che iniziai una relazione con Mario e nel giro di breve tempo me ne innamorai, come non ero mai stata innamorata prima, come avevo sempre desiderato esserlo.
Mario era perfettamente a conoscenza della mia situazione familiare e tuttavia, quando il nostro rapporto divenne importante, mi chiese di sposarlo.
Dato il mio vincolo precedente e le difficoltà annesse al divorzio, non ultima l’irreperibilità di Carlos, decidemmo di consultare un avvocato matrimonialista che si offrì di assisterci per avviare la pratica di scioglimento del mio primo matrimonio, che era stato solo civile.
Subito dopo aver avviato la pratica di divorzio, mi accorsi di essere rimasta incinta e questa scoperta accelerò gli eventi.
Mario era un uomo piuttosto in vista, membro influente di un gruppo neocatecumenale, in seno al quale un figlio nato fuori dal matrimonio avrebbe creato qualche imbarazzo, e questa ragione fu determinante nella scelta di sposarci in tempi quanto più possibile brevi.
Non potendo io contrarre matrimonio civile, optammo per una cerimonia religiosa semplice e riservata, in una chiesa di campagna.
Dietro suggerimento del nostro legale, chiedemmo al vescovo la dispensa per poterci sposare con matrimonio canonico, che avremmo provveduto a registrare sul piano civile, solo successivamente, a divorzio ottenuto.
Cosa che puntualmente avvenne qualche anno dopo e da quel momento un velo di silenzio scese sulla mia vita precedente.
Mia figlia Chiara nacque alla fine di giugno del 1990, anche quell’anno c’erano i Mondiali di calcio e non potevo non pensare a quanti cambiamenti erano avvenuti nella mia vita, rispetto a quando \otto anni prima, nella mia casa di Buenos Aires, guardavo le partite, sognando un’esistenza diversa.
Dopo qualche anno che ero in Italia, anche mio fratello Giovanni con la sua famiglia lasciò l’Argentina trasferendosi a Milano, e dopo qualche tempo, mia madre andò a vivere con lui. Il suo arrivo creò in me qualche inquietudine e nonostante avessi grandissima voglia di rivederlo, la prospettiva di incontrarlo mi creava grande imbarazzo.
Rimandai a lungo un incontro ma quando mia madre si ammalò gravemente, questo divenne inevitabile. Mi trasferii per qualche tempo a Milano per assisterla, portando con me Chiara, che in quell’occasione per la prima volta, ebbe modo di incontrare i miei parenti.
All’epoca della malattia di mia madre, mia figlia aveva sei anni, i suoi cugini erano quasi adulti e questo mi metteva al riparo dalla possibilità, che qualcuno le raccontasse dei miei trascorsi oltre oceano.
Io e Mario infatti, avevamo deciso di non raccontare niente a Chiara circa l’esistenza dei suoi fratelli, dei quali io non avevo notizie da più di vent’anni. A oggi non abbiamo modificato di una virgola la nostra decisione, nonostante nostra figlia, ormai ventisettenne, sia prossima al matrimonio.
L’incontro con mio fratello e la sua famiglia, nonostante il grande affetto che mi legava a mia cognata Miriam, non fu per me foriero di cose positive e alla prima occasione, Giovanni si prese la libertà di dire la sua, circa le mie scelte di vita.
Nostra madre morì poco tempo dopo, io ritornai a Roma e interruppi i rapporti con mio fratello, mantenni solo quelli con i miei nipoti e mia cognata, dietro la loro assicurazione che non avrebbero mai rivelato niente a Chiara.
Recita bene il detto “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” e i segreti tanto più sono grandi, tanto maggiore è il rischio che non rimangano tali troppo a lungo.
Per anni ho sobbalzato a ogni squillo improvviso del campanello o del telefono e ho sempre rifiutato la visione di quei programmi televisivi in cui si cercano parenti lontani, madri e padri mai conosciuti, figli abbandonati e cose del genere.
Il nostro mondo costellato di social network, non aiuta chi come me ha scelto di non confrontarsi con il proprio passato, per sottrarsi a una resa dei conti, che difficilmente saprebbe gestire. Cosa potrei mai dire ai miei figli che troppo presto ho smesso di cercare o a Chiara che ho educato all’insegna della verità, la stessa verità che io con lei non ho avuto il coraggio di praticare? Sono questi e molti altri gli interrogativi che mi tengono sveglia la notte, in lunghe ore insonni, che sono ormai una costante per me.
Il più piccolo dei miei figli da qualche tempo mi sta cercando, e non so se mi crei più disagio la sua ricerca o sapere che suo fratello non vuole neanche sentir parlare di me.
È stata mia cognata Miriam ad avvertirmi che Lucas ha incominciato a fare ricerche sul mio conto e per farsi aiutare ha rintracciato su Facebook lei e i suoi figli.
Loro hanno mantenuto il patto del silenzio stipulato con me tanti anni prima, non gli hanno fornito il mio indirizzo ma poi mi hanno invitato a rivedere le mie posizioni e a contattarlo.
Dicono che è determinato a ritrovarmi e non si arrenderà facilmente: non mi stupisce, è sempre stato così, fin da ragazzino.
Non so cosa fare, qualunque decisione mi troverò a prendere, comporterà comunque una perdita.
Temo soprattutto per Chiara che è legatissima a me e che non so se potrà perdonare la mia reiterata menzogna.
Tornando indietro, non so se farei la stessa scelta, continuo a pormi domande alle quali non trovo risposte, ed è così che passo le notti, logorandomi l’anima, in attesa dell’alba.
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