“L’amore è un argomento a parte, il settore disastrato della sua esistenza. Ha sperato, desiderato, poi ha rinunciato. Oggi non vuole più considerare l’argomento, ci pensa il meno possibile. Cerca solo di non trasformare questo rimpianto in cene davanti alla tivù, di non mettere su chili, di non imbruttirsi troppo. Malgrado ciò, benché single, è raro che si senta sola. Ha dei progetti che le stanno a cuore, che scandiscono le sue giornate. (…)
Finisce il caffè. Unica concessione, dosata con sapienza, un’occhiata all’uomo prima di andare via. Un semplice sguardo. Alex è bravissima in questo. Ma quando incrocia i suoi occhi carichi di desiderio prova una sensazione forte di dolore, che le torce lo stomaco, come una promessa di sofferenza. Quando si tratta della sua vita, come questa sera, Alex non si affida mai alle parole, quelle vere. Si rende conto che il suo cervello si fissa su immagini statiche, quasi che il film della sua vita si fosse interrotto lasciandola nell’impossibilità di riprenderne il filo, di raccontarsi di nuovo la storia, di trovare le parole. La prossima volta, se si fermerà più a lungo, forse lui sarà fuori ad aspettarla. Chi può dirlo? Probabilmente sì. Alex sa bene come vanno queste cose. È qualcosa che si ripete. I suoi incontri con gli uomini non diventano mai storie molto belle; questa, almeno, è una parte del film che ha già visto e che conosce”.
Un thriller manca da troppo, in questa rubrica. E non è da me, visto che sul mio comodino, sul quale poggia una torre di Pisa di libri in scala di poco ridotta, l’alta tensione non deve mancare mai. È la mia favola della buonanotte, il mio iperico, il brivido che eccita e placa insieme.
Esistono thriller accattivanti ma dalla chiave narrativa quasi fantascientifica, perfetti negli incastri ma poco verosimili e quindi al limite del grottesco, del ridicolo. Poi ci sono i thriller d’autore, quelli che intraprendono più strade e che vedono la convivenza su carta di più caratteri, più storie, punti di vista mai troppo scontati e soprattutto quelli che ci fanno conoscere protagonisti mai del tutto buoni o del tutto cattivi. Sono i thriller peggiori, quelli che non finiscono con l’ultima pagina, quelli che non ristabiliscono un ordine consolatorio o rassicurante.
Un giorno Alex, una ragazza che abbiamo appena imparato a conoscere nelle prime, accattivanti, pagine, viene rapita. Malmenata. Rinchiusa nuda in una gabbia di legno sospesa a pochi metri da terra e lasciata in balia dell’eccitazione famelica di topi e ratti. Chi è l’uomo che l’ha rapita? Perché ce l’ha con lei? E chi è Alex?
Camille, il capo della polizia, un uomo che porta nel cuore un dolore straziante, cerca di fare chiarezza e di capire cosa sia accaduto. Il rapitore è fuori gioco, ma Alex è scomparsa. E cominciano a consumarsi degli omicidi efferati, tutti uguali: le vittime vengono uccise con l’acido solforico concentrato all’80%.
Posso assicurarvi che anticiparvi che Alex è un’assassina non è la soluzione del libro. Che continui sono i colpi di scena. Che la prospettiva cambierà in continuazione.
Lemaitre ha scritto pagine che fanno inorridire e che riempiono di compassione. Cosa si nasconde nel cuore e nel corpo di chi chiamiamo assassino? Da dove viene la forza che divora e fa divorare? E la giustizia, quella che un sistema sociale deve garantire, che grado di parentela ha con la verità? Le azioni specifiche possono essere valutate alla luce di violenze subite e patite?
Alex morirà. Ma allora, vi starete chiedendo, è già tutto risolto, no? No. Decisamente no.
Vi auguro una buona lettura, che rasserena, e una buona tensione, che rende tonici!
Pierre Lemaitre, Alex, Mondadori
Ultimi commenti