“La domenica successiva, partirono per il mare. La casa era a metà del lungo viale che congiunge il comune di Anzio a quello di Nettuno. Costruita – come quella di via Ristori – negli anni Trenta, aveva solide mura, solidi infissi. Dalla terrazza quadrata sulla quale affacciavano il soggiorno e le stanze da letto, si vedevano gli scogli; l’ultimo tratto della spiaggia; il porto; il castello di Torre Astura, in cui Corradino di Svevia era stato prigioniero; il promontorio del Circeo. Davanti alla spiaggia, a pochi metri dalla riva, la risacca scopriva e ricopriva il Relitto: la carcassa, affondata nella sabbia, di un mezzo da sbarco americano della Seconda guerra mondiale.
Quando venivano aperte le finestre – dopo otto mesi d’assenza esatti – per far entrare il tepore del sole che avrebbe scacciato l’umidità, una folata d’aria fresca, profumata di iodio e di alghe, dilatava il respiro a chi per primo usciva in terrazza, incredulo dinnanzi al superbo spettacolo del mare: la superficie azzurra compatta, marcata all’orizzonte, percorsa da minuscole spume candide, sulla quale già alcune vele, lontane dalla costa, sperimentavano in piena libertà il vigore del vento.
Le avevano chiuse alla fine di settembre, con i primi temporali dell’autunno, le burrasche, le onde alte che schiaffeggiavano il molo”.
Questa settimana vi consiglio un libro e, siamo in estate piena, un viaggio in uno dei luoghi più belli del mondo. Sono di parte, in quella parte della costa tirrenica laziale ho passato le mie estati e anche splendidi giorni di inverno pieno dai dieci ai 25 anni. Per questo il libro di Montefoschi ha un sapore speciale, per me. Ma lo avrà di sicuro per chiunque ami leggere: lo scrittore romano, l’impiegato della stilografica (così ama definirsi lui), è un maestro di atmosfere e profumi, analista chirurgico di ambienti tout court: la natura è sua materia, sia questa un giardino da descrivere o un carattere umano da ritrarre. Lenta, è la sua scrittura. Talmente bella e circostanziata, così carezzevole, da impedire ogni fretta imposta da trame o letture da riempitivo: per Montefoschi devi essere al cento per cento. La sua costruzione della storia, il periodare architettato in modo vertiginoso, tutto impone attenzione, dedizione, ascolto. Se ti distrai non capisci nulla, tradotto in parole semplici.
Oltre alla splendida ambientazione marittima, c’è ovviamente Roma. Si può quasi toccare con mano, credetemi. Si sentono odori, suoni, si vedono le strade, i luoghi. E si attraversano oltre quarant’anni di storia, quella della famiglia Angeli, Giulia, Guido, Pietro e Livia, e quella di un legame d’amore, o forse due, che ha un leitmotiv: il verde degli occhi di Laura, il grande, unico amore di Pietro. Per la trama vi invito a fidarvi: davvero non serve dire altro. Le dinamiche sono da brivido, le parole non dette, le cose non fatte che ognuno di noi conserva in uno scrigno che blocca il presente e ipoteca il futuro. Tra le persiane accostate per non far entrare troppo sole tutti gli ingredienti delle relazioni umane riescono a penetrare e ad assumere una visuale più acuta, tagliente, mozzafiato.
È una lettura che ha il ritmo dei pomeriggi indolenti estivi, l’aroma inebriante delle pinete tirreniche, il fascino elegante di una punteggiatura virtuosa, perfetta e originalissima.
Giorgio Montefoschi, Le due ragazze con gli occhi verdi, Rizzoli
Ultimi commenti