La camera azzurra di Georges Simenon

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Un capolavoro che merita di essere letto. È giallo, analisi psicologica, è specchio dei tempi

“Avevano cenato come le altre sere: minestra, frittata al prosciutto, insalata, camembert e per frutta albicocche. Sotto le finestre si stendeva il frutteto, che curavano entrambi, lui e sua moglie, mentre Marianne se ne stava ore e ore accoccolata per terra a strappare le erbacce. I fagioli rampicanti avevano ormai raggiunto la cima dei sostegni. Dietro la rete del pollaio razzolava una quindicina di galline bianche di razza livornese, nella penombra della loro gabbia s’intravedevano alcuni conigli.

In apparenza quella giornata si stava concludendo come una qualunque altra giornata estiva. Dalla finestra aperta entrava un’aria tiepida, e solo di tanto in tanto arrivava una folata più fresca. Il maniscalco, un tipo grande e grosso che si chiamava Didier, batteva ancora sull’incudine. Intorno regnava la calma: la natura si preparava lentamente all’immobilità notturna. 

Le domande del professor Bigot erano quasi sempre imprevedibili. «Già da quella sera aveva l’impressione di averla perduta?». «Chi? Andrée?». Era sorpreso, non ci aveva pensato. «Da undici mesi lei viveva qualcosa che, senza esagerare, potremmo definire una grande passione». Ecco una parola che non gli era mai passata per la mente. Eppure desiderava Andrée e, se gli accadeva di non vederla per un po’, era ossessionato dal ricordo delle ore frenetiche e focose trascorse insieme, dal ricordo del suo odore, dei suoi seni, del suo ventre, della sua impudicizia. Mentre era a letto accanto a Gisèle, gli capitava di non riuscire a prendere sonno, in preda a interminabili fantasticherie. «Che ne diresti di andare al cinema?».”

Simenon scrisse questo capolavoro nel 1963 nel cantone svizzero di Vaud. Sono passati oltre cinquant’anni, da allora, eppure la scrittura dello scrittore nato in Belgio resta un esempio unico di montaggio narrativo e di piani sequenza alternati e incastrati ad arte.

È in una camera azzurra che si incontrano Tony e Andrée. All’insaputa di Nicolas e di Gisèle, marito dell’una e moglie dell’altro. Si erano conosciuti sui banchi di scuola ma poi lui era andato via. Il destino, ci racconta la storia, non è roba che un umano possa cambiare, è più grande, più ineffabile. E quello che dev’essere sarà.

È un romanzo di Simenon, è giallo, è analisi psicologica, è specchio di tempi. È sfida, quella che lo scrittore lancia al lettore in ogni sua opera: cosa è accaduto, quale il crimine, e l’assassino chi è?

I grandi scrittori, quelli che restano e che lasciano una narrazione che diventa impronta esistenziale, sono quelli in grado di restituire le cose della vita. Cosa spinge un uomo o una donna ad uccidere? C’è lucidità nella premeditazione omicida? Cosa accade nella mente, cosa accade nei cuori?

La letteratura piccola piccola offre soluzioni, finali, più o meno lieti. La grande letteratura, che alla realtà guarda e a essa si approssima, non può farlo. Può solo tentare di farle il verso, perdendosi nei meandri delle mille ragioni, dei molteplici punti di vista. Lo scrittore non è un Dio, non è un giocoliere. Lo scrittore è un osservatore acuto, un filtro.

Entrate nelle vostre camere azzurre. In silenzio. Riconoscerete la luce che filtra dalle persiane accostate.

Georges Simenon, La camera azzurra, Adelphi

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