“- Non lo devi nominare il papà davanti alla mamma. Hai capito? – Milena in braccio a una signora magrissima con più occhiaie di sua madre. Il figlio dormiva, e la signora tutt’a un tratto si era accorta di lei. – Non si nominano le cose di cui non possiamo fare a meno. Se no, è peggio -. Milena non capiva. Che diceva, quella signora dai capelli crespi. Sua madre aveva aspettato, seduta sulla branda, che la guardia venisse a prenderla per portarla nel parlatorio. A ogni ora si era mangiata un po’ di rossetto, pizzicandosi le labbra coi denti. Quando aveva capito che il marito non sarebbe venuto, benché di sabato non lavorasse, le labbra erano ormai tutte scorticate. Le compagne di cella se n’erano accorte, che era una mina. Si era rintanata nella cucina comune, aveva acceso la tv. Le dita a pinza sul naso, gli occhi chiusi. Non sapevano disinnescarla e giravano alla larga. Avrebbero dovuto tenerle alla larga anche quella bambina, che diceva sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato. Mamma, fregatene di papà, ci sono io. La mina era saltata. La madre le aveva torto il braccio finché non l’aveva sentita gemere. Stai zitta!, aveva urlato. Rosa, Delia e le altre compagne si erano gettate a dividerle. Ma quella diceva, È roba mia! Che cazzo volete? È mia, io l’ho messa al mondo e io posso toglierla! Rosa aveva provato a calmarla, Tra un po’ co’ ‘sto bordello arrivano le guardie, e oggi è il giorno libero di cecilia, te lo ricordi? Vuoi andare in isolamento con questa povera creatura? È lei che mi manda ai pazzi, non la sopporto! La signora prendeva in braccio Milena, ma solo perché suo figlio dormiva. (…) Poi Milena si sentiva strattonare. – Togli le mani da mia figlia, tossica di merda. (…) Milena si ritrovava stretta al petto della madre, che le mugolava fra i capelli. Per l’intero pomeriggio non la mollava più, serrava il corpo di Milena perché era l’unico che non le fosse vietato, l’unica unione di corpi che nessuno avrebbe potuto impedire”.
È successo solo con Roth. Solo a lui, alle sue opere, ho dedicato due settimane consecutive di questa mia rubrica. E non perché lui sia il mio preferito, perché, pur se immenso, non lo è. Erano però due testi che non potevano fare a meno l’uno dell’altro (Inganno e L’animale morente), e nei posti liberi come questo, nei posti dove c’è spazio solo per i libri intesi come baluardo culturale, il miracolo può accadere.
Questa settimana, dopo la scorsa, dedicata a Le assaggiatrici (Premio Campiello 2018), torno di nuovo su un’opera della talentuosissima Rosella Postorino. E lo faccio perché il ruolo della letteratura è clamoroso sempre, nel suo saper spiegare i fatti e gli eventi della vita in modo approfondito, silenzioso, unico.
Il 18 settembre, una donna tedesca detenuta per concorso in detenzione di stupefacenti nel carcere romano di Rebibbia, ha gettato i due figli dalle scale della sezione nido uccidendone una sul colpo e provocando all’altro ferite letali. Molto si è scritto, in merito. Sulla situazione mentale della madre, sullo stato in cui versano i 62 bambini (dalla nascita ai 3 anni) reclusi nelle carceri italiane. Io ho preferito tacere e aspettare. Avevo letto questo libro qualche anno fa. La storia di Milena, nata in un carcere. Di sua madre, Di suo padre. Di come cresca una bimba che ha radici in una istituzione totale, quale latte la nutra, quale ossigeno le permetta di far respirare polmoni e pensieri, immaginazione, sogni. La segregazione, la prosa della Postorino è davvero mirabile, è un biscotto che continuiamo a sbocconcellare a lungo, anche dopo essere uscite dal carcere. La colpa cade sulla testa e nel dna di chi non ha scelto. E sulla figura materna si riflettono più immagini, sentimenti ambivalenti, esasperazioni reattive: come gestire il proprio ruolo genitoriale, emotivo ed educativo in modo avulso dal crimine commesso, dalla propensione all’illegalità? La cosa più errata che si possa fare è parlarne e/o scriverne con superficialità e buonismo di circostanza. Un buon libro è sempre la spiegazione, mai supponente, mai comoda, migliore.
Rosella Postorino, Il corpo docile, Einaudi
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