“Era già calato il buio, ma quando George svoltò nel vialetto solcato dai segni di pneumatici riuscì comunque a distinguere il nastro giallo che ancora perimetrava la proprietà. George parcheggiò la sua Saab lasciando acceso il motore. Cercò di non pensare all’ultima volta in cui era stato in quella casa seminascosta in una strada senza uscita a New Essex. Il nastro della polizia era stato tirato sino a formare un cerchio ampio, tra un albero e l’altro, e sulla porta d’ingresso era attaccato dello scotch rosso e bianco a forma di X. George spense il motore, spegnendo così anche l’aria condizionata e avvertendo in un attimo il caldo soffocante della giornata. Il sole era basso all’orizzonte e sotto la pesante volta di pini l’oscurità era ancora più fitta. Scese dall’auto. Nell’aria umida poteva sentire l’odore del mare e i versi dei gabbiani in lontananza. La casa marrone scuro si confondeva con il bosco circostante. Le sue alte finestre erano cupe, così come il rivestimento macchiato sui lati. George si abbassò per infilarsi sotto il nastro giallo con la scritta «Polizia – Non oltrepassare», e si fece strada verso il retro della casa. Sperava di entrare dalla porta a vetri scorrevole che dava accesso all’interno dalla veranda posteriore tutta marcia. Se l’avesse trovata chiusa a chiave, avrebbe lanciato un sasso contro il vetro: era fermamente intenzionato a entrare e cercare il più in fretta possibile qualche prova che la polizia potesse aver trascurato”.
Di un thriller, se si vuole salvare ogni sua virtù, bisogna dire poco e anticipare nulla. Cosa posso dirvi, di questo? Posso dirvi che la narrazione scorre su due piani temporali paralleli e insieme sovrapposti, passato e presente. Posso dirvi che racconta la storia di George. E di Audrey. E di Liana. Posso dirvi che Audrey e Liana sono la stessa persona e che questo non è un segreto svelato o spoiler che dir si voglia. Posso dirvi che la storia si svolge quasi completamente a Boston come tutti i thriller di Swanson (in questa rubrica trovate anche Quelli che meritano di essere uccisi). Posso dirvi che di mezzo c’è un desiderio di riscatto, c’è la disperazione dell’America del sottobosco, la grande solitudine delle classi sociali non agiate. E posso aggiungere che sì, ovvio, c’è di mezzo un amore. E che, certo, c’è posto per la morte da ‘nera’.
Poi però posso dirvi qualcos’altro. Che poi è il motivo per il quale vi consiglio questo libro. I thriller in genere esasperano situazioni e incubi, amplificano paure e timori. I caratteri devono trovare un collocamento: o sei buono o sei cattivo, o ti salvi o muori. La morale serpeggia candida, il bene alla fine trionfa anche se lascia cadaveri lungo la strada.
Swanson ci racconta qualcosa di diverso. Ci racconta una storia senza salvezza, un amore assoluto che forse sarebbe meglio definire ossessione. George si innamora di Audrey al college. E si innamora, senza aver mai smesso di pensare a lei, di Liana vent’anni dopo. Il crimine aveva gettato un’ombra su Audrey. Continua a gettarlo su Liana. Audrey-Liana che di George si è sempre servita.
Swanson ci racconta perfettamente la perversione dell’amore, sentimento che non è Bene e non è Male. Ci racconta la nostra debolezza, la volontà piegata al desiderio, la testardaggine autolesionista di ogni proiezione illusoria.
Peter Swanson, Il lungo inganno, Einaudi
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