Tutte le volte che torno nella casa di campagna dei miei nonni, in Piemonte, lo sguardo cade sul quadro che ritrae il mio bisnonno: è una fotografia gigante dei primi del Novecento, c’è un uomo sui quarant’anni, coi baffi, il panciotto e l’orologio, come si usava allora. Per me la sua figura è avvolta ancora in un alone di mistero, anche se la sua storia mi è stata ampiamente raccontata da mia mamma, sua nipote: si chiamava Andrea e si tolse la vita nel 1911 a 49 anni, lasciando la moglie e un figlio di otto anni (mio nonno). Sul perché di quel gesto non ci sono notizie certe. Lui era falegname, ed era uno dei primi militanti del partito socialista. In un cassetto, nella sua casa, c’è ancora un ritaglio di giornale, L’Avanti! per il quale aveva scritto diversi articoli, che riporta la notizia della sua morte ed esprime cordoglio alla famiglia.
Vi ho raccontato questo aneddoto personale perché fa parte di quei piccoli o grandi segreti di famiglia che in molti casi vengono tenuti nascosti a figli e nipoti, per vergogna o per proteggerli da una verità che potrebbe impressionarli o trasmettere loro un’idea negativa sulle loro origini.
Nel mio caso per esempio la mamma passò da un generico: «il nonno rimase orfano di suo papà a otto anni, per questo era così attaccato a sua mamma» al racconto più dettagliato che mi fece quando avevo l’età per capire certe cose. E devo ringraziarla perché in questo modo ha trasmesso un ricordo importante delle sue origini, che se fosse rimasto segreto, sarebbe andato perduto.
E di segreti di famiglia e dell’opportunità o meno di rivelarli si parla su questo numero di Confidenze nella storia vera di Sabrina Bergamini, Segreti di famiglia.
Naturalmente le situazioni descritte sono altre e i problemi diversi (una donna è alle prese con la figlia adolescente che torna a casa ubriaca la sera tardi) ma la scelta della protagonista di rivelare alla ragazza un episodio della sua infanzia si rivelerà vincente anche per aiutarla a superare il brutto periodo.
Vi invito poi a leggere il commento della nostra esperta psicopedagogista Elena Urso sull’importanza di custodire e tramandare il proprio romanzo familiare: anche se il tempo annacqua gli eventi e ci fa sentire estranei a dolori che ormai non ci appartengono più, è giusto che il filo della memoria venga raccolto e riavvolto. E voi cosa ne pensate? Meglio tacere o raccontare la verità?
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