Le giovani generazioni non leggono più libri, assorti come sono tra smartphone, videogiochi e tablet. Non è una gran novità da sentire, ma siamo poi sicuri che sia così?
Stando all’ultima rivelazione Istat diffusa a fine 2018 e dedicata alla produzione e lettura di libri in Italia nel 2017 sono il 41% le persone dai sei anni e più che hanno letto almeno un libro per motivi non professionali (circa 23 milioni e mezzo) e la quota più alta di lettori si riscontra tra gli i ragazzi di 11 e 14 anni: il 12,7% di loro è un lettore forte, ossia legge almeno un libro al mese.
Verrebbe da chiedersi cosa succede a questi ragazzi dopo i 14 anni, visto che l’Istat individua come altro bacino di forti lettori gli ultracinquantacinquenni (il 16,5% della popolazione) lasciando intendere che “nel mezzo del cammin di nostra vita” sia terra bruciata. In verità nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni fanno il loro ingresso anche gli ebook e il download dei libri on-line: un ragazzo su cinque dichiara di fruirne.
Altro dato interessante riguarda la consuetudine alla lettura: è un’abitudine che si acquisisce in famiglia; tra i ragazzi di 11-14 anni legge l’80% di chi ha madre padre lettori e solo il 39,8% di chi invece non ha genitori propensi alla lettura.
Se questo è quanto dicono le statistiche, guardando dentro le mura di casa non posso che confermare quanto sopra: mio figlio quattordicenne legge, ma solo per dovere. Fa parte di quella folta schiera di ragazzi a cui fortunatamente l’insegnante di italiano elargisce, come pillole del dottore, la lettura di un romanzo a ogni vacanza comandata. Gettando nel panico i giovani virgulti che solitamente si ricordano del libro da comprare l’ultimo giorno prima dell’inizio delle vacanze di Natale, quando ormai neanche i miracoli di Amazon Prime possono levarti le castagne dal fuoco.
Io però ogni volta benedico il loro prof di italiano perché la lettura è un seme che va innanzitutto gettato e poi coltivato perché un giorno possa germogliare.
Quando ero al liceo avevo un professore di religione che era un padre gesuita, durante le sue ore di lezione, lungi dal parlarci della dottrina cristiana, ci leggeva in classe un libro. L’anno della mia quinta ginnasio ricordo che toccò a Morte a Venezia di Thomas Mann.
Quasi nessuno lo ascoltava mentre leggeva ad alta voce, c’era chi giocava a battaglia navale di nascosto, chi faceva i compiti per altre materie, ma quando arrivò l’estate e dovetti scegliere quale libro portare in vacanza, svogliatamente presi dallo scaffale i racconti di Thomas Mann, dicendo tra me e me: “vediamo un po’ sto libro di cosa parla, visto che siamo andati avanti a leggerlo tutto l’anno”.
E mi si aprì un mondo, un universo letterario di personaggi indimenticabili, come Settembrini di La montagna Incantata, Adrian Leverkühn del Doctor Faustus; notti insonni passate a leggere tutti i romanzi di Thomas Mann: dai Buddenbrook, a La montagna incantata al Doctor Faustus. E una volta esauriti quelli, alla ricerca di nuovi classici della letteratura da scoprire e amare.
Ma se non ci fosse stato quel seme, gettato così senza che neanche ce ne accorgessimo durante l’ora di religione, io non avrei conosciuto il tarlo della lettura, quell’ansia che ti rode l’animo e ti trascina pagina dopo pagina in un mondo parallelo dove i personaggi prendono vita, e diventano compagni di vita, le situazioni si raffigurano come dipinti davanti agli occhi.
Vi invito a leggere su Confidenze la storia vera Le magia di Carla di Daniela Darone perché racconta molto bene il senso di questo seminare, della lettura come scoperta inconsapevole a cui però l’animo umano va predisposto ed educato.
Ultimi commenti