Ecco chi è la nostra autrice: Mi chiamo Chiara, ho 27 anni, vivo in Toscana e durante gli anni dell’università mi sono innamorata della città di Pisa, trasformandola in una musa ispiratrice. Nel 2017 ho pubblicato un libro per ragazzi, ma ho il computer pieno di romanzi e racconti impazienti di vedere la luce. I miei personaggi hanno sempre qualcosa in comune con me, nel bene e nel male, e con le persone che conosco e che amo
Storia vera di Samuele raccolta da Chiara Scarpitta
La primavera stava già riempiendo l’aria con il profumo dell’erba e della mimosa. Il primo sole di marzo era pallido ma tiepido ed era bello passeggiare per le vie di Pisa. Avevo trascorso la mattinata sui libri e un po’ d’aria fresca era quel che ci voleva. Ero già a metà strada per raggiungere il polo universitario dove avrei avuto lezione all’ora successiva, quando mi resi conto di aver dimenticato la bicicletta nel parcheggio della mensa. Salutai i miei compagni per tornare da solo sui miei passi, ma Ester si offrì di accompagnarmi.«Grazie, sei molto gentile», accettai, cercando di celare lo stupore.«Ma figurati! Da solo ti saresti annoiato, no?».
Ester era una mia compagna di corso. Non la conoscevo bene, ci eravamo solo scambiati gli appunti qualche volta, ma il suo sorriso e i suoi grandi occhi verdi mi avevano colpito fin da subito. Era una ragazza minuta, della mia stessa età, con dei lunghissimi capelli castani che la facevano somigliare a una creatura delle fiabe.
Chiacchierammo lungo tutto il tragitto e scoprii con piacere la nostra comune passione per la letteratura fantasy. Ci mettemmo a discutere delle differenze tra Il signore degli anelli in versione cartacea e la sua trasposizione cinematografica, ma prima che potessi lamentarmi del finale del terzo film eravamo già arrivati in facoltà, così Ester mi salutò e andò a sedersi vicino alle sue amiche.
Nei giorni successivi, Ester prese l’abitudine di venire a chiacchierare con me tra una lezione e l’altra. A volte, dopo la fine dell’ultima ora, andavamo in giro per negozi con qualche sua amica. Entrammo molto in confidenza, al punto che mi propose di studiare insieme per preparare gli esami della sessione estiva.
«Ma certo!» accettai, tutto contento. L’indomani presi il treno per andare a casa sua, cosa che iniziò ad accadere abbastanza spesso. Ogni tanto capitava che perdessimo la concentrazione per chiacchierare di tutt’altro, ma gli studi proseguivano abbastanza bene ed ero felice di passare del tempo con lei.
Un pomeriggio decisi di andare a lezione con la macchina. Il cielo era grigio e pioveva forte. Le strade erano molto trafficate ma presi una scorciatoia che mi permise di arrivare in facoltà in anticipo.
Iniziai ad aggirarmi pigramente per i corridoi, in cerca di una macchinetta del caffè. Due ragazzi si stava baciando vicino alla tromba delle scale, incuranti del resto del mondo. Sul momento non ci feci caso, ma a una seconda occhiata riconobbi Ester tra le braccia di un ragazzo molto alto dall’aria familiare. Era Roberto, un nostro compagno di corso. Ecco perché a volte andava via con lui in macchina, ecco perché si sedevano spesso vicini…
Continuai a studiare con Ester e a chiacchierare con lei come se niente fosse. Non le dissi cosa avevo visto, non volevo dar peso all’accaduto, eppure quando vedevo Roberto sentivo lo stomaco stringersi in una morsa. Mi dava sui nervi quando lui le rivolgeva la parola in mia presenza e più di una volta avevo dovuto trattenermi dall’insultarlo.
«Non sono affari miei», mi ripetevo. «Non sono affari miei!».
Non so bene perché, ma un bel giorno, di punto in bianco, Roberto ed Ester smisero di parlarsi. Quando si incrociavano per i corridoi si ignoravano deliberatamente ed Ester pareva molto irritata in sua presenza. Non osai fare domande, ma segretamente ne fui felice.
Passarono diverse settimane senza che nessuno dei due rivolgesse la parola all’altro, poi le lezioni finirono e giunse il momento di sostenere gli esami della sessione estiva.
Fui molto sorpreso quando Ester si presentò all’esame di Linguistica accompagnata da un ragazzo che non conoscevo. Era un tipo di statura media, con i capelli scuri. Avrà avuto la mia stessa età, ma l’assoluta mancanza di barba e baffi lo faceva sembrare più giovane. Lo vidi ridere e scherzare con Ester, cingerle la vita e baciarla sulle guance.
A fine esame, approfittando dell’allontanamento di tale individuo, presi Ester in disparte e gli domandai chi fosse.
«Pensavo che il tuo ragazzo fosse Roberto», bisbigliai.
Ester avvampò, sbiancò e avvampò di nuovo. «Vieni con me», sussurrò, prendendomi per mano e portandomi in un’aula vuota.
Quando si fu assicurata che la porta fosse ben chiusa, si voltò verso di me e mi guardò atterrita.
«Cosa sai di Roberto?» domandò, trattenendo il fiato.
«So che vi siete baciati almeno una volta e che tra voi c’è stato qualcosa, ma che adesso pare finito».
Ester sospirò, sconsolata.
«Ti dirò tutto, ma non giudicarmi, per favore».
Si sedette a gambe incrociate sulla cattedra, senza guardarmi negli occhi.
«La storia è lunga, ma cercherò di renderla breve… Io sono fidanzata con Emilio da due anni, ma non ci vediamo quasi mai. Lui abita a trecento chilometri da qui, in Liguria, e non può venirmi a trovare tanto spesso. A dicembre ho conosciuto Roberto. All’inizio era solo amicizia, ma poi ho sentito qualcosa spezzarsi nel mio cuore. Tutto ciò che volevo era stare con lui, ma allo stesso tempo non volevo perdere quello che avevo costruito con Emilio. Ho approfittato della sospensione delle lezioni per andare avanti e smettere di pensarci, ma inevitabilmente a marzo ci siamo rivisti… Avevo una gran confusione in testa, e c’è stato un ritorno di fiamma… Solo qualche bacio, niente di più, te lo assicuro… Emilio lo sa. Dice di avermi perdonato, ma non so se lo abbia fatto davvero».
«Roberto ti manca?» domandai.
Ester annuì in silenzio.
«Roberto era tutto quello che Emilio non è. Era una ventata di freschezza in una stanza chiusa. Stare con lui, anche solo per poche ore, era come fuggire in un mondo diverso. Non eravamo fatti per stare insieme, non avrebbe mai funzionato, ma non riesco a dimenticarlo… Pazienza. Devo solo aspettare che mi passi… e trovare il modo di ricucire i rapporti con Emilio».
I suoi occhi erano velati di tristezza e rimpianto.
«Lo sai che se hai bisogno di me…» le dissi.
«Lo so», rispose lei con un sorriso. «E ti ringrazio». Scese dalla scrivania per abbracciarmi e restammo stretti in quel modo per qualche istante. Potevo sentire il profumo vanigliato dei suoi capelli.
«Ora devo andare. Alla prossima! E grazie per avermi ascoltato!».
«Ester, aspetta!» dissi, mentre lei stava già prendendo lo zaino per allontanarsi. «Sei felice?».
Lei mi guardò e tacque.
«Onestamente… Non credo sia proprio la parola giusta, ma… bisogna che corra, altrimenti perdo il treno!».
La guardai allontanarsi mentre un pensiero iniziò a germogliare nella mia testa, prepotente quanto indesiderato: perché Roberto sì e io no? Perché Emilio sì e io no? Cosa c’era di sbagliato in me?
Annegai quell’idea tra le onde del mare di agosto, sperando che morisse con i primi freddi.
Non lo fece.
Quando rividi Ester a settembre sorrisi, illudendomi di essere in pace con me stesso.
«Come stai?» le chiesi, abbracciandola.
«Come sempre», rispose lei. «Devo ancora sostenere uno degli esami dello scorso semestre, ma vedrò di rimediare!».
Ester si sedette in prima fila accanto a una nostra amica e io non potei fare a meno di seguirla. Sembrava inquieta. Si guardava intorno, come se stesse cercando qualcuno. La sentii chiedere alla sua compagna di banco chi tra i nostri compagni fosse partito per studiare a Londra.
«Vediamo…» rispose lei. «Valentina, Jessica… non la rossa, la bionda… Francesco, Roberto…».
Ester trasalì. «Va bene, grazie…» la interruppe, senza guardarla negli occhi.
Alla fine della lezione la invitai a prendere un caffè nel bar dell’università e lei accettò.
Chiacchierammo delle nuove materie e dei professori che avevamo appena incontrato. Non impiegammo molto a riprendere le vecchie abitudini e a studiare insieme.
Ogni volta che le discussioni finivano sul personale, Ester mi raccontava di Emilio e di tutte le strampalate scuse che accampava per non venirla a trovare.
«Forse ormai non prova più nulla per me» diceva a volte.
«Come potrebbe mai qualcuno non sciogliersi davanti a una ragazza come te?» rispondevo sempre. Lei ridacchiava e mi ringraziava. Avevo una voglia matta di baciarla quando faceva così. Le sorridevo, ma dentro di me provavo una rabbia incontenibile nei confronti del suo fidanzato.
Un pomeriggio, pochi giorni prima di Natale, uscimmo insieme per comprare gli ultimi regalini. Ester era tutta nascosta dall’enorme sciarpa di lana rosa e dal cappello del medesimo colore. Sembrava un incantevole pupazzo di neve. Passammo la maggior parte della serata dentro una libreria, spulciando le nuove proposte editoriali, e quando arrivò il momento di salutarci lei mi accompagnò alla stazione con la macchina. Stavo per andarmene, ma un impulso mi convinse a restare. Mi voltai, posai una mano sulla spalla di Ester e mi avvicinai per baciarla.
Ma lei si ritrasse.
Mi fissò per qualche istante, senza dire una parola. Avrei voluto sotterrarmi e svanire nel nulla.
Ester sorrise e mi abbracciò.
«Va tutto bene», la sentii sussurrare.
No, pensai. Non va bene per niente!
Tornai a casa con il terrore di aver compromesso per sempre la nostra amicizia, ma Ester non fece più parola dell’accaduto e ricominciammo a ridere e studiare insieme come se niente fosse.
Trascorremmo molto tempo insieme durante gli anni dell’università e non smettemmo di sentirci nemmeno dopo la laurea. Ebbi diverse fidanzate in quel periodo, ma nessuna storia seria.
«Spero che almeno questa abbia la fedina penale pulita!» commentava Ester, tra il serio e il faceto, ogni volta che le parlavo di una ragazza nuova. Quando la situazione prendeva una brutta piega, lei era sempre la prima che chiamavo. Passavamo delle ore intere a diagnosticare i problemi che affliggevano le mie relazioni, e in qualche modo la sorte finiva sempre per dare ragione a Ester.
Il mio pensiero tornava spesso a lei e ai sentimenti che da sempre cercavo di reprimere. Nonostante i trascorsi, Ester era ancora fidanzata con Emilio ed erano da poco andati a convivere a Genova, dove avevano avviato una bella attività.
Non potevamo vederci spesso come un tempo e da quando avevo trovato lavoro come segretario non avevo molto tempo libero, ma quando avevo qualche minuto le mandavo un messaggio per chiederle come stava.
Quando era sola in casa, Ester mi telefonava e mi raccontava le sue vicende. Cercava di sdrammatizzare, di portare l’argomento sui racconti che scriveva nei ritagli di tempo, ma finiva sempre per parlare di Emilio e dei suoi atteggiamenti verso di lei.
«Sai qual è la cosa che mi fa veramente impazzire?» mi disse una sera. «Il fatto che lui non mi lasci prendere nessun tipo di iniziativa in ambito lavorativo! Pensa che non sia abbastanza intelligente per decidere con la mia testa, deve per forza supervisionare tutto! Magari col tempo capirà che mi merito fiducia, forse devo solo aspettare…».
«Dimmi la verità, Ester», le chiesi. «Hai sempre voluto diventare economicamente indipendente, avere una casa tutta tua. Adesso che hai raggiunto entrambi gli obiettivi, sei felice?».
«No», rispose lei, senza l’ombra d’incertezza. «Felice proprio no. A tratti sono serena forse, ma nel resto del tempo…».
Una sera di fine dicembre finalmente Ester tornò a casa sua, dai suoi genitori. Radunò quel poco che entrava nella valigia, raccolse le forze e chiuse per sempre quel capitolo della sua vita.
Questo è il momento di farsi avanti, pensai, pentendomene quasi subito. Non potevo darle il tormento in un momento tanto delicato. Avrei dovuto attendere che il suo periodo di fragilità finisse, starle vicino come amico, come avevo sempre fatto. Ester fu molto forte in quella situazione. Aveva perso l’appartamento dove aveva vissuto per oltre un anno, la sua fonte principale di reddito e il suo fidanzato, tutto nello stesso giorno, ma non si perse d’animo: tornò subito a lavorare e a scrivere, dette il via a molti progetti nuovi e non si fermò a piangersi addosso. Si riprese in fretta, così in fretta che dopo qualche mese, quando ci demmo appuntamento insieme ad altri amici, la vidi col suo nuovo ragazzo. Fu come ricevere un proiettile nel cuore.
Lo fissai per qualche istante. Era un bel ragazzo, alto, snello e muscoloso. Niente con cui io avrei mai potuto competere.
«Ti trovo bene», le dissi, quando restammo da soli per qualche istante fuori dalla pizzeria.
«Anche tu stai bene», rispose Ester. I suoi occhi brillavano come stelle.
«Chi è il tuo nuovo cavaliere?».
«Oh, Andrea…» sorrise lei, arrossendo visibilmente. «Non ci crederesti mai, ma… me lo ha presentato Roberto!».
«Roberto?!» esclamai, sorpreso.
«Lo so, è strano… Ammetto di essere stata io a richiamarlo, qualche tempo fa… ma non pensare male, non è successo niente! Alla fine siamo riusciti a restare amici, nonostante tutto quello che è successo».
L’ascoltai parlare del libro che stava per pubblicare e dei libri che aveva in mente di scrivere. Non l’avevo mai vista così determinata e non la smetteva più di parlare.
«Sei felice, Ester?» le domandai interrompendola.
Lei mi fissò sorpresa e sorrise.
«Ho rotto molti ponti con il mio passato, mi sto dando da fare e… sì, per la prima volta dopo anni, credo di essere felice! O meglio, la strada è ancora lunga, però…».
Quel che avevo sentito mi bastò. Annuii e le sorrisi di rimando.
La serata proseguì tranquilla. Cercai di restare rilassato, ma il mio cervello era una fucina in ebollizione.
Guardai Ester ridere e scherzare con il suo ragazzo.
Abbi cura di lei, pensai. Io la conosco da anni, e tu da pochi mesi. Non sai quanto possa essere rompiscatole, paranoica, permalosa, insicura e fragile, ma non sai nemmeno quanto sia forte, intelligente, sincera, leale, dolce e comprensiva. Lo scoprirai da solo forse, se saprai ascoltarla e capirla. Io sono solo un amico che le ha voluto molto bene e che gliene vorrà sempre, e il mio unico desiderio ormai è vederla felice. Con te pare esserlo, quindi… in bocca al lupo!
Dissi addio per sempre a Ester e la guardai andare via, come un canarino fuori dalla gabbia, come un pesciolino liberato in mare, come un palloncino dalle mani di un bambino…
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