Alla domanda Sai accettare (e fare) le critiche? (che poi è il titolo di un articolo che trovate su Confidenze in edicola adesso) rispondo subito con un bel NO chiaro, tondo e, nella maggior parte dei casi, inappellabile.
Non sopporto, infatti, le persone che si sentono in dovere di dire la loro su quello che riguarda gli altri, soprattutto perché di solito chi assume questo tipo di condotta aggiunge l’aggravante del pontificare a un comportamento già abbastanza odioso.
No, vabbè, che palle. Oltre a sentirmi dire quel che di me non funziona, devo pure subire un atteggiamento maestrino e saccente? Scusate, ma no: non lo posso davvero sopportare.
Permalosetta? Certo che sì, per carità. Ma anche rispettosa della libertà personale. Così, esattamente com’è difficile che mi permetta di consigliare qualcuno su cosa e come fare, mi piacerebbe molto non avere un collegio-insegnanti deciso a indirizzarmi verso direzioni che non sono le mie.
Ed ecco che arriviamo al dunque: chi critica in modo sistematico, spesso non ricorda che quando lo fa ragiona per sé. Cioè, in base al proprio carattere e pensando a come si comporterebbe lui nella stessa situazione.
Ma non è così che va il mondo. Un fatto importante per una persona, può essere totalmente irrilevante per un’altra. Per qualcuno che reputa un’attesa spasmodica, c’è chi la vive come un Sabato del villaggio carico di scoppiettante aspettativa. E, in fatto di relazioni, non tutti amano rispondere con la stessa moneta. Oppure sì, ma chi sono io per giudicare?
Insomma, quando si dice «Facile criticare…» si esprime una grande verità. Perché dare addosso agli altri è estremamente semplice. Ma, alla fine, a cosa serve?
L’articolo, poi, sostiene che disapprovare in modo costruttivo può giovare. Io, invece, sono convinta che sia utile solo se (e quando) richiesto. Però, a questo punto non parliamo più di critiche, ma di confronti.
Che una persona fidata mi dica che sto sbagliando non mi offende né mi ferisce, anzi. Mi aiuta a capire o, comunque, mi spinge a un esame di coscienza che senza sprone rimanderei all’infinito. Ma se la stessa persona si arroga il diritto di mettersi davvero nei miei panni, mi sentirei invasa.
Ed è proprio per il terrore di invadere che io tendo a parlare solo se ufficialmente interpellata (non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te). Cerco (non sempre riuscendo) di individuare quale corrente spinge il mio interlocutore contro o in balia del vento. E ascolto (sono molto curiosa e mi viene facile). Ma alla fine dico la mia esclusivamente su esplicita richiesta, nonostante mi sia magari già fatta una chiara idea della situazione.
Attenzione, però: non sto dichiarando che non critico mai nessuno, ci mancherebbe. Semplicemente, sfrutto telefonate, aperitivi e cenette al femminile con le amiche di sempre per trasformare giudizi e valutazioni in qualcosa di molto più divertente: l’irresistibile e intramontabile pettegolezzo.
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