Può un matrimonio naufragare perché uno dei due è rigorosamente vegetariano e l’altro no?
La risposta è sì se si vogliono imporre le proprie convinzioni alimentari anche ai figli.
È quanto succede nella storia vera raccolta da Silvia Ferrero Mi batto per Matilde, pubblicata su Confidenze. Una “guerra dei roses” combattuta a colpi di polpette e antibiotici, perché oltre alla convinzioni salutistiche che portavano questa donna a negare alla sua bambina anche una fetta di prosciutto cotto, a rincarare la dose c’era la medicina omeopatica, unica forma di cura ammessa in casa.
Penso che ognuno di noi nel suo piccolo si sia scontrato almeno una volta con questo genere di problemi e vi voglio raccontare la mia esperienza a tale proposito; quando mio figlio era piccolo, non appena comprese che ammazzavano gli animali per farne bistecche, smise immediatamente di mangiare qualsiasi salume e purtroppo anche la carne.
Si dichiarò vegetariano e dalle scuole elementari in poi, ogni occasione in cui doveva mangiare fuori, fosse la mensa scolastica o il campus estivo o una festa di compleanno, bisognava sempre far presente la sua scelta alimentare.
La cosa mi creava non poco imbarazzo perché quando specificavo “non mangia carne” mi guardavano tutti con un’aria sospettosa come a sottintendere: “ecco la solita fanatica vegetariana” e io di rimbalzo specificavo: «non sono io, è lui che si rifiuta di mangiare carne».
A dire il vero a casa mi industriavo nel tentarlo con croccanti cotolette impanate, hamburger di prima scelta, spezzatini e polpette – che il gatto annusava e puntualmente fregava dal tavolo -, ma lui niente, dirottava il suo appetito su un bel pezzo di grana o un uovo al burro. Oggi a 15 anni ha in parte modificato le sue abitudini alimentari (o forse ha metabolizzato lo sconforto per gli animali sacrificati) e davanti a un buon hamburger o una cotoletta non sa dire di no, anche se salumi e spezzatini restano banditi.
Vi ho citato questo aneddoto familiare perché il tema di quanto sia giusto e lecito imporre ai figli le proprie convinzioni salutistiche e alimentari è sempre argomento di discussione e trova terreno fertile per le opposte fazioni. Sono tanti i genitori che magari mossi dalle migliori intenzioni impongono divieti e decidono arbitrariamente come sia meglio nutrire e curare i propri figli. E così si sprecano gli hamburger di soia e i rimedi omeopatici al posto dei farmaci tradizionali, che per la carità vanno benissimo finché non ci sono infezioni o febbroni da cavallo.
Il punto è che il fanatismo sia esso applicato all’alimentazione, alla cura della salute o alle credenze religiose è sempre sbagliato di principio, se non foriero di sventura.
Le scorse settimane due bambini hanno perso la vita perché i genitori di origine africana, hanno voluto sottoporli a una circoncisione condotta con mezzi poco ortodossi: in un caso a Monterotondo, appena fuori Roma, una donna nigeriana è ricorsa all’aiuto di un sedicente medico libico, nell’altro, a Genova un neonato di un mese e mezzo è morto in seguito a una circoncisione praticata in casa.
Sono casi estremi, lo so, ma sempre frutto dell’imposizione su soggetti deboli, non ancora capaci di esprimere una propria volontà eppure costretti a seguire dettami alimentari, convinzioni religiose e culturali dei genitori. Fino a che punto è lecito spingersi? È logico e legittimo che un genitore voglia educare suo figlio a rispettare determinati principi, siano essi religiosi o etici, così com’è giusto prendersi cura della salute alimentare dei nostri ragazzi fin dai primi anni di vita facendo sparire dalla tavola merendine e patatine fritte, ma non bisogna strumentalizzare i bambini ai fini delle proprie crociate.
E se crescendo manifestano il desiderio di assaggiare un buon hamburger (come succede nella nostra storia vera) le mamme vegane si mettano il cuore in pace, non è mai morto nessuno. Voi cosa ne pensate?
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