Ma lo avete letto la Capanna dello zio Tom? Io credevo di sì, ma ho scoperto da poco che non era vero: quello che ci fecero comprare alla scuola media era un libriccino di 100 pagine (evidentemente una riduzione per ragazzi, un riassunto edulcorato). Me ne sono accorta quando sono andata a ricomprarlo per mia nipote e mi sono trovata davanti all’originale: un tomo di 550 pagine (BUR, traduzione di Antonio Faeti).
Ne sono stata travolta, l’ho letto con passione- se cominci non lo lasci più. L’autrice, Harriet Beecher Stowe, figlia di un ministro calvinista, con un sincero spirito religioso e il senso della giustizia evangelico, lo pubblicò nel 1852, a puntate, sul National era, e sconvolse l’America. Tutti sanno che fu importantissimo per la causa abolizionista, e per la maturazione della Guerra di Secessione, 9 anni dopo. C’è il famoso aneddoto del presidente Lincoln, che incontrando la Beecher Stowe le avrebbe detto: «Lei è quella piccola signora che ha causato una così grande guerra?». Uncle’s Tom cabin è fra i libri più famosi, più citati, e meno letti del mondo. Ed è anche uno dei più calunniati: lo accusano di essere sentimentale, quasi letteratura rosa, quando ci sono pagine sulla condizione degli schiavi così dure e atroci, quasi insopportabili, degne di Charles Dickens o Emile Zola.
Non è solo un grande manifesto politico e un grande atto di fede, ma anche una grande creazione letteraria, unendo la spietata analisi storica all’invenzione formidabile di tipi umani più veri del vero. Sfilano i mercanti di schiavi rozzi e assassini, i ricchi signori del sud raffinati e mostruosi, che hanno potere di morte e di tortura, e lo esercitano, sfilano gli ipocriti che disprezzano i mercanti ma comprano partite umane da loro, e i preti, che calpestando il Vangelo difendono il commercio delle anime. Ma soprattutto il libro dà nome e volto e personalità agli schiavi afroamericani, rapiti e strappati dalle loro terre, per essere sottomessi e sfruttati come nemmeno le bestie, per le quali si ha un qualche riguardo come strumenti di lavoro. Ma non per gli schiavi. Sono in tanti, costano meno di un cavallo, le loro vite si possono sprecare. Sfilano gli schiavi dei padroni che sembrano benevoli, e li illudono di far parte della famiglia, per poi venderli brutalmente e separarli da un momento all’altro. Come accade a George e sua moglie, che hanno la sventura di avere un bambino troppo bello e intelligente, quindi ottimo per il mercato. Così i padroni tanto umani lo vendono, e George è destinato a un’altra donna scelta dal padrone, che decide anche gli accoppiamenti – si chiamano così quelli tra schiavi, il matrimonio è un sacramento solo per i bianchi (però, il coraggio indomito dei due sposi salverà loro e il bambino).
Ma più ancora del libro, il grande calunniato è lo zio Tom, che viene citato spesso proverbialmente come il tipo dello schiavo sottomesso, dalla parte della propria schiavitù: assolutamente falso. Tom è tutt’altro che schiavo nell’animo: è un vero cristiano. Un gigante della pazienza. Lo hanno fatto prigioniero, deportato in America, e gli hanno insegnato il Vangelo. E lui lo ha preso sul serio. Crede profondamente in Gesù, ed è in nome suo che sopporta il calvario, perdonando i nemici, con la forza d’animo più eroica. Prendete in mano il libro, se vi capita. È la storia di un santo.
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