“Questa settimana diverse storie molto toccanti e coinvolgenti, ma la più bella è sicuramente All you Need is love: un grande gesto d’amore di un umana verso un pelosetto” scrive Rita sulla nostra pagina Facebook. La sua storia preferita è stata pubblicata sul n. 20 di Confidenze e ve la riproponiamo sul blog
Quel giorno da tre tornammo a casa in quattro: io, la mia gatta Elsa, Antonia e Monty, il piccolo Carlino strappato a una sorte orribile. La prova vivente del potere dell’affetto
Storia vera di Lucia F. raccolta da Cassandra Ceccopieri
Era un pomeriggio come tanti, Antonia era venuta a trovarmi per le solite chiacchiere del dopo lavoro. Un caffè, due biscotti e un paio di cioccolatini accompagnavano la conversazione. La quiete della mia villetta in periferia era terapeutica dopo una lunga giornata spesa tra le strade e gli uffici affollati di Varsavia.
Tutto a un tratto il fruscio degli alberi e il cinguettio degli uccelli fu interrotto da un lamento intenso e straziato. Elsa, la mia gattina, aveva tentato l’impresa di saltare da un mobile a un altro nella camera da letto, ma era caduta, trascinando con sé alcuni oggetti di porcellana che si erano frantumati in cocci e avevano ferito le sue zampine. Tanto spavento ma, in fondo, nulla di grave. Era necessario recarsi dal veterinario, ma per niente di più che qualche piccola medicazione. Caricammo così la gatta nel trasportino per dirigerci all’ambulatorio.
La sala d’attesa era piena di apprensivi padroni intenti a consolare i loro amici a quattrozampe. Antonia era in visibilio, amava infatti molto gli animali ma non aveva ancora trovato il coraggio di adottarne uno.
Passata circa una ventina di minuti, il flusso di pazienti si era parzialmente attenuato e qualche sedia cominciava a liberarsi nella luminosa sala d’aspetto. Presi così posto vicino a una grande finestra che dava sul giardino e posai il trasportino sul pavimento per prendere in braccio Elsa, coccolarla e tranquillizzarla in vista della visita. L’attenzione degli altri padroni fu calamitata dal pelo lungo e rosso vivo di Elsa, così lucido e ordinato. È infatti un gatto Norvegese e, come tutti gli individui della sua razza, presenta un manto a dir poco regale. Fu allora che una coppia di anziani signori si diresse verso di me per chiedere, in primo luogo, quale fosse la ragione per cui il mio gatto necessitava un intervento medico, poi, una volta scoperto che si trattava di una semplice ferita, mi chiesero se fossi interessata a far fare ad Elsa una cucciolata con il loro Victor, un Norvegese tigrato di tre anni.
Rimasi colpita dai modi molto bruschi dei due anziani, risposi loro di non essere interessata, e rimasi alcuni istanti a osservarli stupita. Notai così che la coppia pareva non essere accompagnata da alcun animale.
Passò circa mezz’ora e la fila si ridusse a un paio di persone. Antonia e io eravamo perse in chiacchiere mentre Elsa, ormai rilassata e libera dal dolore, aveva iniziato a emettere intense fusa. A un tratto fummo distratte dalla voce del veterinario che chiamava la curiosa coppia a entrare. Fu allora che notammo la piccola gabbia all’angolo della stanza e una minuta sagoma che spuntava dietro alle sbarre.
La visita durò pochi minuti e i signori lasciarono l’ambulatorio a mani vuote.
Era il mio turno. Mi affrettai a raccogliere le mie cose, con l’aiuto di Antonia, e mi diressi verso lo studio. La piccola gabbia di quei nonnini scortesi era ora aperta e un tenero cucciolo di Carlino dormiva su una brandina allestita al momento. Antonia non riusciva a distogliere lo sguardo da quella tenerissima creatura e, senza nemmeno rendersene conto, interruppe la visita di Elsa per chiedere quale fosse il problema di quel morbido peluche.
Il dottore, irritato, rispose che era un caso senza speranza in attesa dell’eutanasia. Antonia rimase raggelata da quelle parole e restò in silenzio per tutto il resto della consultazione.
Il responso della visita fu più che positivo, la ferita non necessitava sutura ed era già in corso il processo di cicatrizzazione. Il medico applicò una tintura color rosso amaranto sulla zampina di Elsa e si apprestò a registrare i dettagli dell’intervento sul sistema informatico. Mentre mi accingevo a richiudere Elsa nel trasportino e mi preparavo a pagare, Antonia si fece coraggio e chiese: «Mi scusi dottore, perché un caso disperato?».
Il veterinario, confuso, alzò gli occhi dallo schermo e rispose, questa volta gentilmente: «Signorina, mi dispiace, ma i suoi padroni hanno deciso di sopprimerlo per via di un’infezione agli occhi. Sono una coppia di allevatori e gli individui malati sono un problema per la loro attività. Il piccolo si potrebbe anche curare, ma richiede temp…».
«Non un’altra parola dottore, lo prendo io e mi occuperò delle sue cure. È un cucciolo innocente e merita di vivere anche se non frutta soldi» interruppe Antonia.
Rimasi sconvolta dalla determinazione della mia cara amica, ma mi sciolsi in un sorriso commosso per le belle parole. Anche il veterinario fu colpito, avvertì Antonia che le cure sarebbero state lunghe e costose, ma vedendola così decisa acconsentì all’adozione. Dietro la realtà degli allevamenti si può infatti celare uno scenario atroce. Talvolta, gruppi di allevatori senza scrupoli detengono i loro esemplari in condizioni di terribile sovraffollamento e in totale assenza di norme igieniche. Le femmine vengono ingravidate a ritmo frequente e spendono gran parte della loro esistenza a partorire numerose cucciolate finché, una volta non più fertili, vengono abbattute in mondo crudele. Allo stesso tempo i cuccioli vengono strappati così precocemente alle cure materne da essere messi a rischio di grosse problematiche psicologico-comportamentali e di gravi infezioni poiché il latte materno è una fonte insostituibile di difese immunitarie. Qualora le infezioni persistano, come nel caso di questo Carlino, si procede all’eliminazione anche dei piccoli spesso abbandonandoli alla loro sorte in fitte foreste. Quando ne hanno la possibilità, i veterinari cercano di salvare il maggior numero di cuccioli innocenti che vengono recuperati. Qualora invece i trattamenti richiesti siano particolarmente costosi e non si trovi nessuno pronto a farsene carico, sono purtroppo obbligati a procedere con l’eutanasia per interrompere le atroci sofferenze dell’animale e prevenire la diffusione di malattie infettive ad altri soggetti. La gran fortuna in questo caso è stata che, questa coppia di allevatori, seppur senza cuore, ha avuto la decenza di rivolgersi alle autorità senza abbandonare il cucciolo a una morte peggiore. Da tre che eravamo partite tornammo a casa in quattro e tra Elsa e il piccolo Monty fu amore a prima vista.
Passarono i mesi e il piccolo iniziava a migliorare a tal punto che il veterinario stesso ne rimase sorpreso. I cani di questa razza sono infatti particolarmente fragili e se colpiti in così giovane età da una brutta infezione rischiano grosso, ma non Monty,: la sua voglia di vivere e l’amore della sua padrona lo stavano guarendo. Oggi Monty ha 10 anni, uno in più di quello che è l’aspettativa di vita media di questi cani, e io ho il privilegio di essere l’adorata “zietta” di un così speciale apostolo del potere dell’affetto.
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