“Le nostre bocche si aprirono l’una sotto l’altra e il calore dolce della gola di Achille si riversò nella mia. Non riuscivo a pensare, non riuscivo a fare altro che abbeverarmi a lui, colmandomi di ogni suo respiro, dei morbidi movimenti delle sue labbra. Era un miracolo. (…) La sua mano scivolò sui respiri accelerati del mio addome. Mi accarezzò delicatamente, come se stesse lisciando il più prezioso dei tessuti, e i miei fianchi si sollevarono al suo tocco. Lo attirai a me e tremai. Anche lui stava tremando. Ansimava come se avesse corso in fretta e a lungo. Pronunciai il suo nome, che mi attraversò come un soffio. Ero cavo come una canna appesa a raccogliere il suono del vento. I nostri respiri erano l’unica misura del tempo. Trovai i suoi capelli tra le mie dita. Il sangue si raccolse dentro di me, le pulsazioni che rispondevano al movimento della sua mano. Aveva il volto premuto contro di me, ma cercai di stringerlo ancora di più. Non fermarti, dissi. Non si fermò. La sensazione crebbe e crebbe finché un grido roco non mi risalì dalla gola, e io, sbocciando, mi spinsi e mi inarcai contro di lui. (…) Poi seguì un silenzio e non pensai al giaciglio umido o a quanto fossi madido di sudore. Il suo sguardo era risoluto, verde screziato d’oro. Una certezza salì dentro me, mi rimase impigliata nella gola. Non lo lascerò mai. Sarà così per sempre, per tutto il tempo che lui me lo permetterà. Se avessi avuto le parole giuste, le avrei pronunciate. Ma non ce n’erano, nessuna sembrava abbastanza potente, capace di contenere una verità così immensa. Come se avesse letto i miei pensieri, lui mi prese la mano. Non avevo bisogno di guardarla; le sue dita erano scolpite nella mia memoria, sottili e venate come petali, forti e rapide e mai in errore. «Patroclo» disse. Era sempre stato più bravo di me con le parole”.
È la storia d’amore più romantica che io abbia mai letto. La più sensuale. La più commovente e strappalacrime che, giuro, non sono due sinonimi, sono solo una somma di singhiozzi e versamenti acquiferi dagli occhi che né il primo né il secondo termine possono, da soli, riuscire a contenere. Solo con altri due libri ho rischiato di morire affogata nelle mie stesse lacrime – Alexis di Marguerite Yourcenar (Feltrinelli) e Chiamami col tuo nome di André Aciman (Guanda) – e sì, è stato bellissimo, indimenticabile, come calarsi in una vita in più, come essere battezzati con un nuovo nome e assumere sembianze altre, reincarnarsi altrove e, cosa che nella vita accade raramente, innamorarsi di se stessi.
Quando come per magia sono diventata Patroclo sono accadute cose non di questo mondo o forse sì. Innamorarsi dal primo sguardo e stringere un patto per sempre, affrontare la guerra, conoscere altri corpi ma senza mai dimenticare che la pace è solo una e ha un corpo e un nome e un ritorno: Achille.
Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, ha impiegato dieci anni per scrivere questo romanzo che scorre come l’acqua di fonte e resta, colonizzandolo, nel cuore. C’è l’origine del nostro sapere e ci sono il mito e le divinità. C’è la vertigine dell’eternità, l’ossimoro perfetto: l’amore non è mai garantito, non lo è l’unione; solo nella presa di coscienza che l’altro, anche se lontano, anche se inafferrabile, ti appartiene, c’è la soluzione dell’enigma di ogni Creato.
“«Patroclo» disse. Era sempre stato più bravo di me con le parole”.
Madeline Miller, La canzone di Achille, Sonzogno
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