“Furono varate leggi per definire e identificare il nemico: gli ebrei non potevano possedere radio e biciclette, guidare auto, avere animali di compagnia, praticare la pesca, usare il telefono. Dopo aver privato gli ebrei di ogni contatto sociale e commerciale con il resto della popolazione, il passo successivo fu quello di confinarli in aree specifiche, o ghetti, dove diventò sempre più difficile muoversi liberamente e il cibo cominciò a scarseggiare. A un certo punto il ghetto di Varsavia ospitava 445.000 persone in un’area di poco più di due chilometri quadrati. I nazisti presero in considerazione la possibilità di deportare gli ebrei in un Paese lontano – il Madagascar, per la precisione – ma poi rinunciarono per il tempo e i costi richiesti. La maggior parte dei deportati non oppose resistenza quando fu fatta salire sui treni per il reinsediamento, convinta che la vita nei campi di concentramento non sarebbe potuta essere peggiore di quella nel ghetto. Le camere a gas erano l’ultima tappa della fabbrica della morte. Facendo leva proprio sull’ambiguità di quelle strutture, i nazisti riuscirono a uccidere ogni giorno migliaia di prigionieri incontrando minime resistenze. Una banda militare accoglieva i deportati quando arrivavano al campo. Il viale di Treblinka che portava alle camere a gas si chiamava via del Paradiso e all’ingresso delle docce c’era una stella di Davide con sotto la scritta in ebraico È questa la porta del Signore: per essa entrano i giusti. I nuovi arrivati venivano spogliati e marciavano verso le docce, dove il gas all’acido cianidrico li uccideva nell’arco di una ventina di minuti. La parte più difficile per i nazisti era lo smaltimento dei corpi gasati. I forni crematori richiedevano un flusso costante d’aria che garantisse un buon tiraggio e altri accorgimenti tecnici. Bisognava anche ottimizzare l’accumulo di cadaveri per assicurare una rapida combustione. I nazisti scoprirono che bruciavano più in fretta e in modo più uniforme se alla base della pira c’erano delle donne, che avevano una percentuale di grasso corporeo più alta”.
I programmi scolastici uccidono la storia, ne decapitano la complessità e l’intensità riducendone il volume in piccole aree recintate e riempite solo di date e luoghi, trattati e nomi di generali e presidenti o dittatori. La storia dell’umanità compressa in tre (se si parla di scuole medie) o cinque (se ci spostiamo alle superiori) manuali che vengono approcciati in modo insufficiente, spesso addirittura saltando argomenti. Cosa resta del percorso del tempo e della sua sfaccettatura manovrata dalla mente dell’uomo? Ben poco, per non dire nulla. Già la lettura tutta centrata intorno al punto di vista eurocentrico sfasa il vero svolgersi degli eventi; se aggiungiamo la compattezza dei mattoni/tomi sintetizzati come integratori senza sapore e senza forma il gioco – distruttivo – è fatto.
Leggere libri e saggi dedicati ai fatti del nostro passato è splendido. Il mondo ha ottimi storici e strepitosi storiografi, grandi scrittori che hanno messo su carta la loro vita contestualizzandola in modo certosino. Ricordo di aver cominciato ad amare il Medioevo con una lettura che il professor Giovanni De Luca ci aveva ‘obbligati’ a portare con noi sotto l’ombrellone nell’estate che ci avrebbe traghettati alla quarta liceo: La società feudale di Marc Bloch (Einaudi). Eravamo terrorizzati, era un libro altissimo, e tutti eravamo convinti sarebbe stato noioso e incomprensibile. Scoprimmo invece un testo meraviglioso e una società dagli usi e costumi luminosissimi. Imparammo che la storia è bella, è complessa, è madre del nostro presente.
Questo saggio di Dimsdale è dedicato alla vera storia di Douglas Kelley, psichiatra, e Gustave Gilbert, psicologo, che hanno intervistato i criminali di Norimberga. I due giunsero a risultati contrastanti, per il primo erano uomini comuni, moralmente menomati, prodotto del loro ambiente, per il secondo erano invece degli psicopatici depravati. Dimsdale ha recuperato i documenti dei due e li ha riletti tentando di dare a quell’inferno in terra una linearità di lettura. Ammetto: si legge come un romanzo e questo fa sentire in colpa, un po’. Consiglio: è da passare ai nostri giovani.
Joel E. Dimsdale, Nella mente dei criminali nazisti, Newton Compton Editori
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