Vi è mai capitato di guardare la vostra immagine e non riconoscervi? Per anni, di fronte a uno specchio, non sono riuscita più a scorgere la ragazza che ero. Questo perché la vita, seppure fossi ancora tanto giovane, mi aveva già riservato un notevole carico di dolore. Eppure sapevo che quella ragazza non era mai andata via. E non aveva mai smesso di lottare. Aveva solo bisogno di qualcuno che la aiutasse a guardare oltre.
Tutto quello che ho oggi è stato una conquista, non è arrivato per caso, non mi è piovuto addosso. La mia vita, il mio lavoro. La persona meravigliosa che mi sta accanto. La felicità. Non è stato affatto semplice.
Il primo colpo la vita me l’ha inferto durante l’ultimo anno di accademia, quando avevo solo 24 anni. Ero decisa più che mai a laurearmi perché volevo mettermi alla prova nel mondo del lavoro. Adoravo tutto quello che aveva a che fare con la moda, le grandi firme, gli abiti, gli accessori. Ero attratta dallo sfavillio di quell’ambiente ma non volevo diventare stilista. Stavo studiando comunicazione e sapevo che prima o poi avrei trovato il modo per far combaciare le mie passioni. Quella mattina di novembre del 2008 stavo proprio andando all’università. Andavo quasi sempre in moto in stazione a prendere il treno da Sestri a Milano. Era un percorso che avrei potuto fare a occhi chiusi, ma quel giorno un furgone mi ha tagliato la strada. Ricordo poco dell’impatto e della sensazione che ho provato planando sull’asfalto ma sapevo che il colpo era stato forte. Sentivo il sapore del sangue in bocca, non riuscivo a mettere a fuoco, non capivo nulla di quello che stava accadendo ma percepivo che fosse qualcosa di molto serio. Non mi ero sbucciata le mani o le ginocchia, per intenderci: la gente che accorreva e mi fissava spaventata mi confermava la gravità del mio stato. Il tempo di mettermi una mano sul viso e non sentirmi più il naso e poi il buio.
Mi sono risvegliata in un letto di ospedale, con a fianco mia madre che con il suo amore mi ha aiutata dall’inizio alla fine e che da sempre è il mio faro nella notte. In ospedale sono rimasta per 10 mesi in un andirivieni di interventi e attese. Trapianto del cristallino e innumerevoli operazioni al naso e al volto. Mi sentivo un mostro. Mi ero isolata, non volevo che nessuno mi vedesse in quello stato. Nemmeno Luca, il mio amore. Non eravamo fidanzati ma fra noi c’era un legame profondo. «Cosa vuoi che me ne importi, per me tu sei sempre bellissima» mi diceva al telefono ma non me la sentivo.
«Fra qualche mese, quando sarò meno gonfia, ti prego». Credevo che peggio di così non sarei più stata, invece la vita aveva in serbo per me il suo colpo più duro. Era quasi Natale, i medici mi avevano mandata a casa per qualche giorno, ma con il mio occhio bendato e le medicazioni non riuscivo proprio a percepire l’aria di festa. Nonna Teresa, che trascorreva molto tempo con me, stava seguendo il telegiornale. A un tratto la notizia di un grave incidente a Genova. Lo speaker aveva annunciato: «Carabiniere muore in piazza Portello». Ho sentito un tuffo al cuore e ho pensato subito a Luca che era un carabiniere. E che viveva a Genova proprio in quella zona. Sentivo che gli era successo qualcosa. Ho chiesto a mia nonna di passarmi il cellulare, ho cercato di mettermi in contatto con lui. “Lu, sono in pensiero… chiamami appena leggi è importante!”.
Poi la telefonata. Quel “Vale…” pronunciato con un filo di voce da un suo collega. La conferma che era tutto assurdamente vero. Non riuscivo nemmeno a piangere.
La mia prima uscita dall’ospedale è stata quella che mi ha condotto fino alla camera mortuaria di Luca. Fino al preciso istante in cui l’ho visto disteso sul marmo, non ho voluto credere che non avrei più avuto per me il suo sorriso, il suo sguardo celeste. Che non avrei più riso insieme a lui. Poi sono arrivate le lacrime, inarrestabili, e quella sensazione di rimorso per non avergli permesso in quei mesi di starmi vicino. Luca mi aveva sempre guardato come se fossi una dea e io dopo l’incidente lo avevo allontanato. Se solo avessi potuto tornare indietro, fargli capire che gli volevo bene e che la mia era solo insicurezza, paura. Fragilità.
Dopo la morte di Luca, tutto è stato ancora più arduo. Non riuscivo a smettere di piangere e i medici sostenevano che quello stress rallentava la mia guarigione. Nonna Teresa mi aiutava a studiare, mi leggeva i testi che mi servivano per la tesi. I mesi passavano inesorabili, il dolore restava inalterato in fondo al cuore, ma intanto iniziavo a stare fisicamente meglio. Perché è così, prima o poi tutto passa. Il mio viso tornava ad avere connotati riconoscibili. Guardandomi allo specchio ritrovavo vagamente la ragazza che ero stata e che non sarebbe tornata mai più. Lentamente le cicatrici esterne si attenuavano mentre quelle interne continuavano a bruciare.
Il 17 luglio 2009 mi sono laureata e subito dopo sono partita per un lungo viaggio. Avevo bisogno di dire addio a modo mio a tutto quello che era successo in quell’anno di ospedale. A Luca. Alla Valeria che non esisteva più. Zaino in spalla, sono partita per l’Asia, la terra del sorriso. La mia passione per i viaggi era nata da tempo ma si è consolidata dopo quella estate. Cambogia, Thailandia, Malesia. In Cambogia ho provato per la prima volta l’esperienza indimenticabile della mongolfiera volando all’alba sui templi di Angkor, il sito archeologico più importante del Paese. Quelle terre, tutto quello che ho visto e respirato in quei mesi, mi hanno aiutata a ritrovare la forza per andare avanti e mi hanno ridato un po’ di speranza.
Al mio rientro, ho risposto ad alcuni annunci di lavoro. Volevo concentrarmi su quello perché il pensiero di incontrare un altro ragazzo, non mi sfiorava affatto. Forse non ero la più qualificata quando mi sono presentata al colloquio per un importante brand di moda, ma di certo ero la più determinata. E infatti hanno scelto me. Per oltre tre anni mi sono fatta coinvolgere solo dal mio lavoro. Accanto a me, la mia famiglia e le amiche di sempre.
Poi ho incontrato Matteo e qualcosa ha iniziato a muoversi in fondo al mio cuore. Ero stanca di sentirmi sola e lui era un bravo ragazzo. Mi sono lasciata travolgere, inaspettatamente, dal desiderio di una nuova vita e di una nuova possibilità di felicità. Con Matteo abbiamo deciso di andare a convivere. Forse abbiamo affrettato i tempi, non so, perché, nonostante l’affetto che provavo, sentivo che c’era qualcosa che non andava. Mi sentivo l’uomo di casa. Ero io a prendere tutte le decisioni e questo mi stancava. Mi pareva di essere sua madre più che la sua compagna. Però, dopo quello che avevo vissuto con Luca, non mi permettevo di sputare in faccia alla fortuna. Avevo paura che non avrei incontrato mai più un uomo con cui essere davvero me stessa, ma restare insieme a Matteo significava non essere davvero felice. Ormai litigavamo per qualsiasi cosa, sembravamo una vecchia coppia di brontoloni e io ero giunta al limite. Se il mio destino era quello di rimanere sola, lo avrei accettato.
Per questo, e non certo a cuor leggero, ho lasciato Matteo. Eravamo ancora troppo giovani per non meritarci un’altra possibilità. Avevo bisogno di ritrovare il mio equilibrio, di fare pace con me stessa e per farlo dovevo restare sola. Dopo poche settimane però, una sera in giro per Genova, le mie amiche hanno insistito per andare a cena in una hamburgeria davvero speciale. Non avevo voglia di camminare ma alla fine ho ceduto e mi sono lasciata trascinare. Mentre stavamo entrando nel locale, dalla vetrina, ho notato un bellissimo ragazzo alla cassa. Per tutta la cena non ho fatto altro che cercarlo nella sala. Ci siamo scambiati qualche sorriso, niente di più. “È il direttore del locale, è il suo compito essere gentile e sorridere ai clienti”, ho pensato.
Quella è stata la prima volta che ho visto Luigi. Non era da me, era troppo presto, stavo vivendo un periodo difficile, eppure quel ragazzo mi aveva colpita. Lasciare Matteo dopo cinque anni di convivenza, aveva creato una situazione pesante anche con le nostre rispettive famiglie. Mia madre continuava a darmi dell’irresponsabile. Matteo era arrabbiato, deluso. E io mi sentivo gli occhi di tutti addosso e non riuscivo a spiegare le mie ragioni nemmeno agli amici. Non ero stata superficiale, anzi ero stata cauta. Non potevo permettermi a 32 anni, dopo quello che avevo già passato, di vivere a metà. Di amare a metà. Non volevo restare con Matteo solo per affetto, gli volevo bene ma non era la persona adatta a me.
Avrei voluto stare sola, ma il destino seguitava a farmi incontrare Luigi. Qualche settimana più tardi, mi sono ritrovata con alcuni amici di nuovo a pranzo in quel locale. I nostri sguardi continuavano a cercarsi. Anche in quell’occasione non c’era stato il tempo di presentarci. Non ero dell’umore di incontrare un altro uomo e lui stava lavorando, eppure sentivo che avrei voluto conoscerlo. Alla fine l’ho cercato su Facebook: una follia del genere non l’avevo mai fatta. Non conoscevo nemmeno il suo nome ma sapevo che era il direttore di quel locale, per cui era stato facile. Non ho riflettuto su questa mia voglia di conoscerlo, mi sono lasciata guidare dall’istinto. Abbiamo iniziato a chiacchierare così, in chat. Di sogni, di viaggi e di vita. Quando Luigi mi ha chiesto un vero e proprio appuntamento, non me la sono sentita di accettare. Però gli ho fatto sapere dove mi avrebbe trovata con le mie amiche, quella sera. E così è venuto a cercarmi. Abbiamo iniziato a frequentarci. Più lo conoscevo, più percepivo quanto fosse intelligente, solare e incredibilmente romantico, e più me ne innamoravo. Ci siamo buttati in questa relazione con la consapevolezza che, superati entrambi i 30 anni, poteva essere la storia della vita.
Luigi, da allora ha cambiato vari lavori che lo hanno allontanato da Genova: prima è stato trasferito a Roma poi a Padova e io nel frattempo sono diventata responsabile per il nord Italia di una holding che gestisce brand di lusso nel settore beauty. Nonostante la lontananza, abbiamo sempre trovato il modo di incontrarci. Di viaggiare insieme. La nostra storia è cominciata nella maturità dei sentimenti, nella sensazione di essere le persone giuste l’uno per l’altra. Per questo nel 2017, dopo che Luigi ha iniziato a lavorare per una nota compagnia di crociere a Genova, abbiamo deciso di andare a vivere insieme a Sestri Levante.
Il 5 aprile di quest’anno, per il mio compleanno, conoscendo la mia passione per le mongolfiere, Luigi mi ha fatto una sorpresa: un viaggio in un luogo magico, la Cappadocia, famosa proprio per le sue albe in mongolfiera. Mi sono sentita felice come una ragazzina alla sua prima escursione. Prima abbiamo fatto una breve crociera a Marsiglia e a Barcellona, poi l’aereo ci ha portato a Istanbul. Dopo una cena romantica all’interno del faro al centro del Bosforo, un volo interno ci ha portato nel cuore della Cappadocia. In questo Paese il panorama è pura magia, sembra di essere su un altro pianeta. Le abitazioni sono ricavate in cave di tufo e tutto pare irreale. Luigi aveva prenotato una cava tutta per noi, al piano terra, scavato nella roccia, il salotto enorme, al piano superiore la nostra stanza dove ho trovato palloncini e petali di rose rosse sul letto. Infine una terrazza che si affacciava sulla valle di Goreme. Così è cominciata la scoperta di questa terra incredibile. Qui i colori intensi invadono tutti i sensi così come i profumi. Il cibo è molto saporito, la gente cordiale.
Ma il bello per me doveva ancora venire. Luigi aveva prenotato un giro in mongolfiera. Ci siamo alzati in piena notte. Alle quattro del mattino le uniche luci che si vedevano in lontananza erano i gas che gonfiavano le mongolfiere.
Ogni mattina in Cappadocia volano circa 150 mongolfiere. Il capitano ha aperto il gas, il fuoco si è acceso e l’aria calda ha fatto alzare il pallone fra i pinnacoli della valle. Piano piano il sole si è affacciato su di noi e siamo rimasti in silenzio a contemplare quella bellezza assoluta. La cesta di vimini era un balcone in mezzo al cielo e una sensazione di totale libertà, amore e beatitudine ci ha preso per mano. Quando abbiamo sorvolato la Love Valley, mi è sembrato che Luigi volesse dirmi qualcosa di importante ma poi siamo rimasti in silenzio perché quella vista stava parlando per noi. Non volevamo altro che restare uno accanto all’altra, senza parlare, e riempirci di quella bellezza. Il viaggio è durato più di un’ora, in base al vento il nostro driver ci ha riportato a terra. Luigi aveva già programmato tutto. Quando abbiamo toccato suolo e siamo scesi dalla mongolfiera, ho notato che cercava qualcosa nella tasca dei jeans. Ha estratto una scatolina bianca e così, come in un film, uno di quelli in cui alla fine piangi di gioia e commozione, mi ha mostrato uno splendido anello e mi ha sussurrato: «Vale, vuoi sposarmi?».
Non ho mai provato una sensazione tale di amore, serenità e appagamento in tutta la mia vita.
Quando mi guardo allo specchio, ora, non mi capita più di non ritrovare la ragazza che sono sempre stata. Ora riesco ad andare oltre. Il dolore mi ha reso più forte. Ho voglia di vivere e di gridare, finalmente senza temerlo, tutta la mia felicità. È stato facile rispondere sì a Luigi. È come se avessi atteso lui e quel momento da sempre. Libera finalmente dai ricordi che fanno male, dai dubbi del passato, sono una persona nuova che sente di meritarsi tutto questo amore che mi scoppia dentro. Il nostro matrimonio sarà semplice e fantastico. La nostra vita insieme, con i figli che il cielo spero presto vorrà donarci, sarà come quell’alba in mongolfiera: ci lascerà sempre senza fiato.●
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