storia vera di Giovanni Custodero raccolta da Claudia Turchiarulo
Non avevo grandi sogni. A quell’età, non si pensa ancora al futuro. Giocare a calcio, però, mi piaceva tantissimo, e stando ai giudizi dei critici, ero anche parecchio bravo.
Giocavo nella squadra di calcio a 5 della mia città, Fasano, ed eravamo ormai giunti in serie c2. Una bella soddisfazione per un ragazzo di 22 anni.
Qualcosa, però, iniziava ad andare storto.
Al termine di ogni partita, infatti, la mia gamba sinistra si gonfiava, oppure mi provocava dolori molto fastidiosi. Accadeva, ormai, da un paio di mesi, quando decisi di rivolgermi ad uno specialista.
“Stia tranquillo, si tratta solo di una distorsione. Cerchi di non affaticarsi troppo. Guarirà in un paio di settimane al massimo”, mi disse.
Eppure, il dolore si faceva sempre più pungente. In campo, non riuscivo più a mantenere i miei ritmi, tanto che persino l’allenatore mi consigliò di sottopormi ad ulteriori controlli medici.
Finalmente, stavolta, si diede un nome alla cosa.
Tumore maligno in stato avanzato.
Fu un colpo al cuore.
Cosa può saperne un ragazzo così giovane del cancro? In fondo, come si dice, succede sempre agli altri. E invece no. Stavolta, quel mostro aveva scelto proprio me, senza neppure consultarmi.
Mi spiegarono che, dinanzi a me, si aprivano due strade. Avrei potuto effettuare diversi cicli di chemioterapia, sperando che il tumore rientrasse, sebbene ormai fosse fin troppo esteso, oppure permettere l’amputazione dell’arto, in modo da eliminare il problema.
In quel preciso istante capii che il coraggio sarebbe stato il mio unico compagno di vita, di lì all’eternità.
Avevo poco più di vent’anni, ma dovevo diventare un uomo, e decidere, con profonda responsabilità, quello che sarebbe stato il mio futuro.
“Diamoci un taglio”, dissi, sorridendo. Dovevo far credere ai miei cari di non aver paura, ma Dio solo sa quanto ho diluviato dentro.
Non stavo decidendo di gettare nella spazzatura il mio maglioncino verde preferito, né di cambiare lavoro, o fidanzata.
Stavo letteralmente buttando via una parte del mio corpo, ma non avevo scelta.
Così, in un’arida mattinata di marzo, mi sottoposi all’intervento. Non potevo sapere che, però, non sarebbe stato l’ultimo.
Iniziai a pormi nuovi obiettivi, per non perdere mai la forza di lottare.
Volevo tornare a calpestare i campi da gioco, sebbene sapessi che il percorso sarebbe stato lungo e denso di insidie, e impegnarmi per non far mancare nulla alla mia amata Luana.
Riuscii persino a ballare, con le stampelle, a diverse feste sulla spiaggia, pur di renderla felice.
Per fortuna, pochi mesi dopo, ad agosto, giunse la mia prima vera gioia. Diedi il benvenuto alla mia nuova compagna di vita: la protesi.
Mi sentivo felice come un bambino che riceve il regalo tanto desiderato, sebbene, all’inizio, non fosse facile imparare ad utilizzarla.
Ma, di sicuro, non potevo temere una gamba di plastica, proprio io che avevo rinunciato alla mia in carne ed ossa.
Proprio nell’istante in cui tutto sembrava andare per il verso giusto, però, durante i soliti controlli di routine, ecco la notizia che tutti temevano.
Il mostro era tornato.
Stavolta, mi aveva intaccato il cranio, i due femori, e la clavicola sinistra.
“Sarò mica stato troppo spavaldo nel sottovalutarlo? Magari, non ha gradito il mio atteggiamento di sfida, e ha deciso di rincarare la dose”, mi dicevo.
Ma, ormai, lottare era l’unica cosa che sapevo fare, e di certo non potevo arrendermi.
Mi sottoposi, infatti, ad un delicatissimo intervento chirurgico, attraverso il quale mi asportarono una parte di cranio e la sostituirono con una placca in titanio.
“Sto diventando bionico!”, scherzavo.
Non so se prendermi in giro servisse più a me o alla mia famiglia, ma non avevo il tempo e la voglia per pensare ad un’altra strategia di difesa.
Così, mi tuffai in una nuova avventura, chiamata chemioterapia.
Il caso volle che, prima di conoscere il mio nuovo stato clinico, avessi prenotato un viaggio di coppia, a Parigi, per festeggiare il Natale.
Il primo ciclo di chemio, però, si concluse proprio una settimana prima della data della partenza.
Decisi di non annullare la vacanza.
Stavo bene, ero forte, e dovevo dimostrarlo a Luana e a tutti.
Partii per il viaggio più bello della mia vita.
Avevo lasciato il cancro in Italia. Non volevo sentirne parlare.
Ci godemmo la nostra luna di miele, in una delle città più romantiche del mondo, con la speranza nel cuore che non sarebbe stata l’ultima.
Di viaggi, infatti, me ne aspettavano moltissimi, ma per fini decisamente meno goliardici.
I costi per i miei controlli iniziarono, però, a farsi troppo onerosi per la mia famiglia, ma, al tempo stesso, sapevamo di non poterci rinunciare.
Dovevo escogitare qualcosa.
Così, assieme al mio amico Luigi, ideammo una campagna di solidarietà.
Su delle semplici t-shirt bianche, facemmo stampare l’elmo di un guerriero sorridente, assieme alla mia firma, e al numero 7, che era quello che mi identificava in campo.
Con mio enorme stupore, l’iniziativa prese piede, non solo nella mia città.
Diversi personaggi noti, infatti, acquistarono la mia maglietta e cominciarono ad inviarmi delle fotografie nelle quali la indossavano, mostrando il tipico pollice all’insù.
Fu emozionante vedere che i miei idoli di ragazzino si interessavano alla mia storia, e si spendevano per aiutarmi.
Una nuova speranza mi si aprì in petto.
Capii che, da allora, la mia mission sarebbe stata infondere coraggio in tutti coloro che stavano attraversando il mio stesso calvario, diffondendo messaggi di speranza.
Grazie anche all’ausilio dei social network, così, diventai una sorta di esempio per la comunità, realizzando, in un certo senso, il mio obiettivo.
Mi chiamavano il “guerriero sorridente”, e l’affetto e la stima di cui mi inondavano, e continuano a fare, tanti amici, parenti e sconosciuti, furono e sono la mia forza.
Qualche tempo dopo, la voglia di tornare a calpestare un terreno di gioco, mi portò a partecipare ad uno stage con la nazionale italiana amputati.
Fu un’esperienza meravigliosa, ma decisi di troncarla lì, poiché, per regolamento, avrei dovuto togliere la mia ormai inseparabile protesi, e giocare con le stampelle.
Ma io non potevo rinunciare alla mia gamba un’altra volta.
Oggi, sono un ragazzo che non ha mai smesso di sognare, malgrado tutto, e che ancora conserva progetti ambiziosi da realizzare, con una buona dose di fortuna ma, soprattutto, di coraggio.
Eccoci tornare all’incipit della mia storia.
Nulla è impossibile, se ci si crede davvero e ci si impegna con tutte le proprie forze. La resa è solo per i perdenti.
L’importante è, come dico sempre, sorridere, per “iniziare col piede giusto”.
Non so cosa sarà della mia vita fra un anno, cinque o dieci.
Ma so che continuerò a viverla sfruttando al massimo ogni singolo istante concessomi, senza lasciar spazio alla noia.
Quanto al tumore, vorrei dirgli di fare una scelta più oculata, la prossima volta.
Forse, non è stata una bella idea colpire proprio me che gli ho dato e gli darò molto filo da torcere, finché non lo sconfiggerò del tutto.
Diciamo che ha le ore contate. Sebbene io sia molto superstizioso, e quindi preferisca fermarmi al condizionale.
Intanto, vado a scegliere la mia prossima armatura, sperando di non doverla mai indossare…
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