Ricominciare, pubblicata sul n. 13 di Confidenze, è la storia vera più votata questa settimana sulla Pagina Facebook. Ve la riproponiamo sul blog
Sono cresciuto con un’educazione che lasciava poco spazio ai sentimenti. A 50 anni suonati mi ritrovavo divorziato, con due figli grandi, un lavoro impegnativo e nessuna idea di come costruire un rapporto. Poi, è arrivata Caterina
Mio padre era un uomo dal carattere forte e determinato.
Un brillante primario dalle cui labbra pendevano tutti. Mia madre invece era una pittrice. Apparteneva a una famiglia di artisti che avevano guadagnato fortune e poi avevano perso tutto. Loro due erano diversissimi eppure proprio per questo risultavano perfettamente appaiati. Io ero un perfetto mix delle loro umane imperfezioni. Tanto freddo e razionale come l’immagine paterna suggeriva, quanto cicala e scanzonato com’era nelle corde materne.
A 16 anni avevo avuto un periodo buio, lo dico oggi ma allora non ne avevo alcuna consapevolezza. Ricordo che quell’estate in vacanza, tornavo a casa tutte le sere ubriaco. I miei che andavano a dormire presto non si erano mai accorti del mio disagio che era andato avanti fino a quando avevo incontrato Laura.
Laura era una mia compagna di scuola, una ragazza dal carattere forte e ambizioso. Per conquistare la sua fiducia mi ero messo in riga, non avevo più bevuto, avevo iniziato a fare sport e anche i miei risultati scolastici erano migliorati.
Dopo il diploma ci eravamo iscritti all’università, io alla facoltà di Ingegneria e lei a quella di Medicina e per qualche tempo il mio rendimento universitario era stato eccellente.
Avevo 21 anni quando a mio padre fu diagnosticato un tumore. Venne operato, l’intervento andò bene, ma quello shock lo buttò in uno stato di prostrazione dal quale non riusciva a risollevarsi. Si ammalò di una grave forma di depressione, di quelle che non riesci neanche ad alzarti dal letto. Nell’arco di qualche mese, dell’uomo che era stato non rimaneva neanche l’ombra.
Morì un anno dopo e la sua perdita mi fece piombare in uno stato di apatia senza precedenti.
Totalmente allo sbando, lasciai l’università e mi misi a lavorare. Avevo perso ogni ambizione, qualunque tipo di lavoro andava bene e se era umile e lontano dagli agi a cui ero abituato, tanto meglio.
Andai avanti così per alcuni anni fino a quando Laura mi mise un aut aut. Mi disse che se non cambiavo rotta riprendendendo in mano le redini della mia vita, si sarebbe trovata un altro.
Conoscendo la sua determinazione, sapevo che ne era capace.
Lasciai il lavoro e ripresi a frequentare l’università. Nell’arco di due anni mi laureai a pieni voti e subito dopo io e Laura ci sposammo. Raggiunto l’obiettivo della laurea, sentivo un gran bisogno di rimettermi in pari con il tempo perduto.
Laura dopo la specializzazione era stata assunta presso un grosso ospedale con la qualifica di dirigente medico, io invece cominciai a lavorare per un’azienda dove feci una brillante carriera che mi portò in 12 anni ad assumere la qualifica di vicepresidente della società. Per raggiungere questi risultati, fui costretto a lavorare molto duramente e questo non tardò a creare qualche problema al mio matrimonio. Laura che i primi anni mi aveva fortemente esortato a farmi valere sul lavoro, a partire da un certo punto aveva cominciato a manifestare una certa insofferenza nei confronti del mio impegno che a suo dire non lasciava tempo a altro.
La situazione era andata peggiorando dopo la nascita dei nostri due figli per i quali io avevo sempre cercato di essere un padre presente, ma è indubbio che le frequenti trasferte all’estero non mi lasciassero molto tempo da dedicare alla famiglia.
La crisi matrimoniale divenne conclamata quando la mia azienda mi trasferì per due anni a Francoforte. Laura aveva appena scoperto di aspettare il terzo figlio e la notizia che dopo due maschi avremmo avuto una bambina ci aveva reso molto felici.
La gravidanza, al contrario delle due precedenti, si rivelò problematica fin dall’inizio e si concluse con un aborto al quinto mese. Quando accadde io mi trovavo a Francoforte e della mia assenza in un momento così drammatico, Laura mi incolpò a lungo.
Ci separammo due anni dopo, non senza contrasti e io con la fine del mio matrimonio persi tutti i punti di riferimento.
La nostra casa rimase a Laura e ai ragazzi e io per un periodo di tempo andai a vivere in un residence, non riuscendo neanche lontanamente a concepire l’idea di prendere un’altra casa dove avrei dovuto vivere da solo.
I primi tempi della separazione, per reazione alla solitudine emotiva in cui versavo, ebbi diverse storie. Relazioni mordi e fuggi che non duravano mai più di qualche settimana, più spesso incontri di una notte maturati nel corso dei miei viaggi di lavoro sempre più frequenti.
Ad aprirmi a una relazione vera fatta di scambio affettivo e prospettive future non ci pensavo proprio e dentro di me coltivavo la speranza che prima o poi io, Laura e i ragazzi saremmo ritornati a essere una famiglia unita. In realtà non solo Laura non pensava di tornare con me, ma da quando ci eravamo separati non ero più stato ammesso in quella che un tempo era la nostra casa.
Così mi ero trovato tutti gli anni a festeggiare il Natale da solo e neanche in occasione delle feste di compleanno dei ragazzi ero stato invitato a partecipare.
Gli amici che ci avevano conosciuti insieme non si capacitavano di tanta durezza, io invece non me ne stupivo.
Dopo sei anni che eravamo separati, dovetti prendere atto che le cose tra me e Laura non si sarebbero aggiustate. Peraltro per la prima volta dopo tanto tempo avevo il sospetto che avesse cominciato a frequentare qualcuno. La sola idea di lei con un altro uomo mi faceva star male e ancor più mi addolorava il pensiero che se la loro storia fosse diventata importante, quell’uomo avrebbe avuto la possibilità di stare vicino ai miei figli molto più di quanto non fosse consentito a me.
Quelle riflessioni portarono grossi cambiamenti, il primo dei quali fu la ricerca di una casa che potesse diventare per i ragazzi un punto di riferimento al pari di quella in cui vivevano con la madre. Comprare casa, arredarla e renderla funzionale, dopo tanti anni di vita errabonda, fu il primo passo per rientrare nei cardini di una vita normale, ma il mio blocco emotivo permaneva.
Nel frattempo le vite degli altri erano andate avanti, evolvendosi verso i percorsi più inaspettati.
Io invece facevo sempre le stesse cose: casa, lavoro, serate a cena con i clienti e qualche avventura sentimentale di nessuna importanza.
L’unico legame familiare che intrattenevo, a parte quello con i miei figli, era con mia madre e quando il fine settimana non avevo con me i ragazzi, capitava che passassimo del tempo insieme.
Un sabato che ero rimasto a pranzo da lei mi chiese a bruciapelo se avessi una donna da qualche parte.
«Una vera» aggiunse, «non una con cui trastullarti».
Rimasi di sasso, io e mia madre non avevamo confidenza su certi argomenti, ma lei per nulla imbarazzata, continuò dicendomi che era arrivato il momento che mi dessi una mossa, fintanto che ero ancora prestante. La settimana successiva avrei compiuto 50 anni. Se mia madre voleva trasmettermi il messaggio che stavo invecchiando, aveva colpito nel segno.
Non avevo nessuna voglia di festeggiare il compleanno, ma per dissipare l’inquietudine che mi era presa da qualche giorno portai fuori a cena i miei ragazzi.
Nel corso della serata li osservai attentamente, erano cresciuti molto, tra qualche anno Luca sarebbe andato all’università, Marco che pure era il più piccolo parlava già di voler ultimare gli studi all’estero.
Mia madre aveva ragione, la casa era solo il primo passo necessario per levarmi dall’immobilismo nel quale avevo versato per anni. Ora occorreva trovare qualcuno con cui stare bene insieme. Ma come? Io non avevo la più pallida idea di quali passi andassero fatti per conoscere una donna nella prospettiva di costruirci qualcosa. La mia unica esperienza in tal senso era quella con Laura e poco contavano le modalità estemporanee con cui avevo approcciato le donne conosciute dopo di lei. Mi sentivo un po’ ridicolo a pensare queste cose, ma la verità è che a 50 anni suonati e dopo nove anni che ero ritornato single, la mia esperienza in campo sentimentale era pari a zero.
A farmi conoscere Caterina fu Facebook.
Da quando un mio vecchio compagno di scuola mi aveva spinto a iscrivermi, la sera prima di andare a dormire, mi divertivo a fare un giretto di perlustrazione, commentando foto e post dei miei amici.
Lei l’avevo notata quasi subito. A giudicare dalla foto profilo si sarebbe detta un tipo sensuale, ma quello che mi aveva colpito di più erano le risposte argute con cui commentava gli argomenti più disparati. Incuriosito cominciai a seguirla sui social e dopo qualche scambio di opinione, le chiesi l’amicizia. Un po’ per volta si stabilì tra noi una certa confidenza. Il mio amico che la conosceva da tempo, accortosi delle mie manovre, mi aveva avvertito.
«Filippo, stai perdendo il tuo tempo. Caterina è un tipo tosto, nulla a che vedere con le donne che sei abituato a frequentare tu. E poi è single da anni, dai retta a me, lascia perdere. Non ne caverai un ragno dal buco».
Le parole di Sergio lungi dallo scoraggiarmi, mi avevano al contrario ringalluzzito e dopo anni di frequentazioni facili, l’idea di una donna da conquistare un po’ per volta mi piaceva molto.
La invitai una sera a cena, lei mi disse di no, ma poi mi propose di accompagnarla la domenica successiva alla mostra di un pittore che piaceva a entrambi.
Fu una mattina molto piacevole, dopo la mostra andammo a pranzo e trascorremmo insieme anche buona parte del pomeriggio.
Il dado era tratto. Cominciammo a uscire insieme, tra un aperitivo, una sera a cena e un cinema d’essai ci impiegai quasi un mese prima di riuscire a darle un bacio. Il che mi parve una cosa assurda alla nostra età, così per accellerare i tempi pensai di invitarla una sera a casa mia con la scusa di mostrarle alcuni quadri di valore che avevo acquistato.
Era una mossa collaudata che avevo messo in atto altre volte. La maggior parte dei dipinti erano in sala, ma l’opera di punta dell’intera collezione la tenevo in camera da letto. Una volta lì, grazie alla musica di sottofondo e le luci soffuse, il gioco era fatto.
Con Caterina non andò come preventivato, lei apprezzò i dipinti che le avevo mostrato e dopo essersi guardata intorno, disse una frase che mi provocò una certa costernazione: «La tua casa è molto bella ma è fredda. Si direbbe che non abbia un’anima».
La sensazione fu quella di essere stato messo a nudo. Va da sé che dopo quell’esternazione, anche il mio intento seduttivo di quella sera andò a farsi benedire.
Ci vollero altri due mesi prima che facessimo l’amore e se devo dirla tutta non fu una delle mie prestazioni migliori. Lei non sembrò dare alcun peso all’accaduto, io invece ero arrabbiato con me stesso, così anziché dedicarle qualche attenzione in più mi chiusi nel silenzio.
Quella sera dormii a casa sua, la mattina dopo a colazione Caterina mi disse che avrebbe voluto che la nostra frequentazione fosse più assidua. «Capisco che il lavoro per te sia molto importante, ma io non voglio un uomo che entra in ufficio alle sette e mezza di mattina per uscirne alle nove di sera. Sono stata sola per molti anni, ma esserlo in coppia è un’altra cosa e io non ci sto. Cosa pensi di fare?».
Le sue parole avrebbero dovuto fornirmi uno spunto di riflessione su me stesso, sulle scelte che mi avevano portato a votarmi totalmente al lavoro senza lasciare spazio ai sentimenti, ma a me la sua richiesta fece sentire in trappola.
Lì per lì le assicurai che avrei cercato di essere più presente, invece sparii per una settimana e quando lei mi chiamò non risposi al telefono. Dopo una decina di giorni, le mandai un messaggio su WhatsApp ma nessuna risposta; il giorno dopo mi accorsi che mi aveva rimosso dai contatti di Facebook.
Mi prese il panico. Ero triste e arrabbiato. Non sapendo come affrontare una richiesta che mi aveva spiazzato, ero scappato via come un cretino e questo era il risultato.
Nelle settimane seguenti provai a contattare Caterina più volte, ma lei non rispose mai ai miei messaggi, provai anche a inviarle dei fiori con un biglietto in cui le chiedevo scusa del mio comportamento, ma al mio gesto non seguì alcuna reazione da parte sua. Né mi servì parlarne con Sergio perché l’unico consiglio che il mio amico riuscì a darmi fu di lasciar perdere.
Mi ero ormai rassegnato all’impossibilità di poter recuperare con lei quando mi venne un’idea.
Il mese successivo mia madre avrebbe compiuto 80 anni e per l’occasione io e mio fratello avevamo pensato di organizzare una mostra dei suoi dipinti a cui dopo sarebbe seguito un rinfresco per parenti e amici. Caterina amava molto girare per gallerie d’arte e non conoscendo il nome di mia madre, non poteva collegarlo a me.
Così contando sull’effetto sorpresa le spedii l’invito all’evento.
La sorte per una volta fu benevola nei miei confronti perché Caterina non solo partecipò al vernissage, ma quell’incontro fu la giusta occasione per potermi riavvicinare a lei.
Non che sia stato semplice, c’è voluto tempo e tanta fatica per riconquistare la sua fiducia e molti sono stati i cambiamenti che ho dovuto apportare alla mia vita per stare con lei.
A cominciare dal lavoro che mi impegna ancora tanto, ma non è più il centro della mia esistenza.
Guardandomi indietro, mi accorgo di quanto la mia vita sia stata sì ricca di successi professionali ma povera di momenti belli.
In questo molto hanno contato i miei modelli familiari che poco spazio lasciavano ai sentimenti.
E ripensando a mio padre che è mancato molto presto, ho cominciato a essere maggiormente presente con i miei figli.
Ora che sono passati alcuni anni posso dire di essere riuscito per tempo a invertire la rotta.
Grazie a Caterina che mi ha costretto a guardarmi dentro, perché senza di lei tutto questo non sarebbe stato possibile.
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