Rileggi sul blog Sulle tracce di un sogno, pubblicata sul n. 16 di Confidenze, è la storia vera più apprezzata dalle lettrici sulla pagina Facebook
Il mio si chiamava Massimo: bello, proibito e irraggiungibile. L’ho inseguito fin da ragazzina e quando finalmente l’avevo in pugno è svanito di nuovo. Ho aspettato a lungo, poi mi sono arresa. Ma una piccola parte di me continuava a credere in quella felicità impossibile
Storia vera di Giorgia G. raccolta da Barbara Benassi
Tra pochi giorni sarà Pasqua, il mio periodo dell’anno preferito. Entro nel locale e sento di là il rumore dei ragazzi già al lavoro. Mi guardo intorno e sono felice. Eppure se ci ripenso, dieci anni fa, tutto ciò che mi circonda era più che mai lontano.
Avevo 19 anni e Massimo 25 quando ci siamo conosciuti. Fino ad allora mi ero limitata a seguirlo con la coda dell’occhio ogni volta che passava in moto davanti a casa mia. Non osavo nemmeno guardarlo per quanto mi sembrava bello, irraggiungibile e soprattutto proibito. Mia madre non ne voleva nemmeno sentir parlare, lei che aveva amato ed era stata ferita da un tipo simile. Mio padre appunto che, come Massimo, certo non aveva la nomea di essere un buon partito. E lei non avrebbe mai voluto per me un destino simile al suo. Girava voce infatti che Massimo fosse un dongiovanni, uno che le ragazze le faceva soffrire, capace solo di fare guai in giro. Incredibilmente queste parole per me si svuotavano di senso e si tramutavano in poesia. Un bellissimo, inarrivabile tenebroso. Un sogno irraggiungibile per cui mettermi l’anima in pace.
Ma la pace, si sa, non è eterna.
Lavoravo come cameriera per le serate più affollate in un ristorante rinomato e così riuscivo ad arrotondare le mie esigue finanze durante il primo anno di università. Quando me lo trovai davanti, quasi mi si fermò il cuore. Io e lui, nello stesso posto di lavoro. I suoi capelli lunghi e scuri legati in una coda di cavallo, la divisa bianca candida come la bandana stretta sulla testa. Chino, concentrato su un enorme pesce, muoveva il coltello su quella carne bianca con un’abilità mai vista. Un uomo più anziano di fianco a lui annuiva in silenzio. Seppi molto dopo che Massimo, ancora in prova, quel pomeriggio era sotto una specie di esame, superato brillantemente. Infatti fu confermato. Così, una sera dopo l’altra, lui in cucina indaffaratissimo e io a correre tra i tavoli, iniziammo a parlare, a conoscerci, a ridere l’uno dell’altra e sì, con mio stupore, ad amarci. Credo che se dovessi descrivere il periodo più bello della mia vita, il mio pensiero volerebbe laggiù, a quei cinque anni passati insieme in cucina, tra i vapori dei fornelli, il profumo delle verdure, l’aroma delle spezie. Quegli odori sono ancora tutti dentro di me, ogni volta che penso a lui.
Dopo il lavoro al ristorante, a fine serata, eravamo stanchissimi, ma anche molto giovani, pieni di vita e di sogni. Soprattutto Massimo. Mentre io davo un esame dopo l’altro, lui seguiva corsi di aggiornamento e specializzazione che lo affinavano, miglioravano, perfezionavano. I pesci, per esempio, aveva la capacità di farne un capolavoro, di esaltare il gusto della loro carne delicata sposandola con l’esatto dosaggio di spezie aromatiche. Nelle sue mani sapienti sembravano trasformarsi per magia e arrivare a toccare le papille con sapori sublimi. Così, più riceveva recensioni entusiastiche, commenti positivi e complimenti, tanto più Massivo sognava. E puntava alto. Voleva viaggiare e portare la sua arte lontano. Mi raccontava di aver sempre desiderato andare all’estero, conoscere il mondo e farlo entrare nelle sue pietanze. Secondo lui, non poteva iniziare e finire tutto tra le quattro mura di un solo ristorante. Sognava questo e lo sognava per entrambi. Perché nelle sue fantasticherie non solo c’era posto per me, ma ne ero parte integrante. Finita l’università con la mia specializzazione in marketing, diceva, avrei potuto lavorare ovunque. Così ci vedeva, io e lui in un nuovo inizio, lontano.
Passavamo serate intere a immaginarci il futuro abbracciati, esausti e felici. Non mi importava delle urla di mia madre, dei suoi timori, del suo giudizio negativo sulla mia vita sentimentale. Allora avevo 24 anni, ero folle d’amore per un uomo bellissimo, in gamba e che per di più mi ricambiava con una passione e una devozione che non avevo mai conosciuto. Il mondo era mio. E mia madre, malgrado le fosse impossibile trattenersi, aveva capito benissimo che le sue parole scivolavano addosso alla mia felicità senza scalfirla minimamente.
Una sera Massimo arrivò al ristorante trafelato, rosso in viso, gli occhi lucidi. Mentre lavoravo, sentivo su di me il suo sguardo impregnato di una luce nuova. Non appena la cucina fu pulita e finalmente chiusa, rimanemmo soli e ci sistemammo come sempre nella mia macchina abbracciati. Fu lì che mi porse un foglio.
«Guarda cosa ho ricevuto oggi. L’ho stampata per fartela leggere, nero su bianco, amore mio».
Il foglio era sgualcito, l’aveva tenuto in tasca tutto il giorno, ma ciò che lessi era ugualmente chiaro e inequivocabile. Dieci righe da parte di una famosa compagnia di navi da crociera che, dopo averlo visto su diversi canali YouTube e aver letto numerose recensioni positive sulla cucina di Massimo, gli proponeva un periodo di prova di un mese e poi, in caso di esito positivo, due anni per un giro intorno al mondo a bordo di una grande nave come “Chef poissonier”. I pesci, da sempre la sua passione.
«È la prova che dopo tutti i sacrifici anch’io valgo qualcosa, finalmente. Tua madre non avrà più da ridire».
La voce gli tremava, la luce che irradiava la sua pelle quasi mi accecava, o forse erano le mie lacrime di gioia e di disperazione insieme. Davanti a me non avevo nessuna prospettiva, nessun giro del mondo, ma un lavoro vero da trovare in fretta e un mare di incertezze.
«Ma mica parto» si affrettò ad aggiungere. «È solo per farti vedere che il nostro sogno si può avverare, un domani. Non ti lascerò mai, nemmeno per una nave così grossa». Massimo rise piano, come sforzandosi.
«A essere grossa non è la nave, ma l’occasione» lo corressi. «Tu non hai fatto altro che sognare questo momento. Quindi partirai. Sono cose, queste, che non si ripresentano».
«Non senza di te» insistette.
«Mia madre è sola, ha fatto tanti sacrifici per farmi studiare. Ora che ho finito l’università devo trovarmi un lavoro e darle una mano. E poi io su una nave…Ma tu, non esiste che rinunci» riuscii a dire prima che mi si chiudesse la gola e soffocassi nelle lacrime.
Ricordo che Massimo mi guardò incredulo, poi sembrò capire e alla fine si limitò ad annuire.
Alla fine, il giorno della sua partenza arrivò. Più mi sforzavo di nascondere la disperazione e l’ansia nei recessi del mio cuore, più mia madre esplodeva in manifestazioni di gioia incontrollata per la nostra separazione. Non faceva altro che ripetermi che lui era un uomo inaffidabile e che la sua partenza, causata dalla maledetta voglia di scappare, ne era la prova. Io invece me lo ricordo ancora benissimo, fermo davanti all’ingresso della dogana in aeroporto, piangere come un bambino mentre mi salutava, quasi fosse certo di non rivedermi, sicuro che qualcosa sarebbe andato storto.
E aveva ragione.
Mi scrisse che il suo mese di prova sulla nave era andato benissimo e che era stato assunto. Iniziava così il suo giro del mondo che lo avrebbe portato sempre più lontano da me.
Mi sentivo malissimo. Anche se avevo trovato un lavoro nell’ufficio marketing di una società nella mia città, il mondo per me era grigio e vuoto. Un anno passò così. Con la nebbia nel cuore. Le comunicazioni con lui all’inizio furono frequenti, poi man mano che la nave solcava acque sempre più lontane, le cose si complicarono.
Fu infatti all’inizio del secondo anno che non ebbi più sue notizie. Provai a contattarlo, ma nulla. Mi sentivo come una mosca che sbatteva contro un vetro. Impotente. In più mia madre non risparmiava critiche sferzanti nei suoi confronti, così smisi anche di parlarne e tenni tutto dentro.
Quell’anno, nell’ufficio legale della società dove lavoravo, era arrivato un giovane avvocato, Marco, un ragazzo serio, gentile e posato, il genere che piace alle madri. Alla mia almeno piacque moltissimo.
Marco mi corteggiò per molto tempo senza grandi risultati, poi una sera decisi di baciarlo. Massimo era completamente sparito da tempo e ancora mi sentivo molto avvilita. Buttarmi in una relazione con Marco forse mi avrebbe fatto bene, se non altro avrebbe potuto riempire il vuoto che sentivo dentro.
Mi illudevo.
Dopo i primi tempi la curiosità aveva già lasciato il posto all’abitudine e all’affetto, sincero sì, ma nulla di più. Mi ero convinta che quello che avevo provato per Massimo fosse stata solo l’emozione di una ragazzina, che nella realtà non sarebbe comunque durata e che l’amore si riassumesse in rispetto e dedizione. D’altra parte Marco pur essendo un uomo buono e un gran lavoratore, col tempo si era rivelato molto competitivo, concentrato sulla sua carriera e incapace di lasciare spazio ai sogni, alla creatività e all’immaginazione. Rimaneva in ufficio a lungo, quando rientrava studiava tantissimo e quelle rare volte che uscivamo non avevamo molti argomenti in comune. Non era colpa di nessuno. Me ne rendevo conto e mi sentivo stretta in una morsa. Da una parte la mia insoddisfazione e dall’altra mia madre che insisteva a più non posso per vederci sposati.
Fortunatamente almeno il mio lavoro andava a gonfie vele. Una campagna marketing che avevo proposto era andata talmente bene che il mio capo mi offrì sette giorni premio da legare alle festività di Pasqua. Una vera occasione per me. Solo per me, perché Marco mi disse fin da subito che non si sognava lontanamente di prendere dei giorni di ferie per partire e lasciare delle situazioni lavorative in sospeso proprio prima di Pasqua.
Così proposi alla mia amica Nicoletta il viaggio che desideravo fare. Lei accettò e partimmo per Bali.
Arrivammo in un villaggio bellissimo.
Mare, spiaggia e sole caldo in grado di sciogliere qualunque malumore. Arrivata la sera, eleganti per la cena, io e Nicoletta ci avviammo verso il ristorante. Uno splendido buffet, pesci stupendi e misteriosi mentre nell’aria un profumo inebriante di spezie.
Stavo per sedermi al nostro tavolo, quando l’occhio mi cadde sulle spalle di un uomo alto, con una bandana bianca stretta intorno alla testa intento a sfilettare un pesce enorme. Guardai le sue mani. Muoveva quel coltello con una maestria che conoscevo.
Di fianco a lui diversi ragazzi del luogo, in divisa bianca, lo guardavano meravigliati e annuivano a ogni sua parola. Stavano imparando.
Poi quell’uomo alto si girò e i suoi occhi finirono nei miei. Mi appoggiai al tavolo di legno, il lieve capogiro non riuscì a farmi staccare lo sguardo dal viso di Massimo. Lo vidi lasciare il coltello piantato nel pesce e quasi di corsa muoversi verso di me seguito dagli sguardi dei ragazzi.
Rimanemmo muti per un momento poi lui balbettò qualcosa come: «Giorgia, sei qui in luna di miele?».
Ricordo di averlo guardato senza capire per poi mettermi a ridere. Più un riso isterico a dir la verità. Alla fine mormorai, «No, sono con un’amica».
Massimo mi sorrise. Lo stesso sorriso di allora. Mi accarezzò una guancia con dolcezza poi si voltò e ritornò dai suoi allievi. Lo vidi riprendere il coltello tra le mani esperte e ricominciare a sfilettare quel pesce per ridurlo a poca cosa.
Non riuscii a toccare cibo, a bere, a muovermi, a malapena respirai, forse.
Dopo un’ora Massimo mi raggiunse di nuovo al tavolo, non più in tenuta da chef. Prima di sedersi si presentò alla mia amica. Nicoletta, ci guardava incuriosita, consapevole dell’energia che sentiva circolare tra noi, come mi avrebbe raccontato poi più tardi in camera.
Gli occhi di Massimo brillavano, la sua voce era arrochita dall’emozione.
«Ti ho cercata. Non sai quanto. Ti chiamavo sul fisso di casa. Tua madre mi diceva sempre che eri uscita, poi una delle ultime volte mi ha detto che eri fidanzata con un avvocato, che dovevate sposarvi, che dovevo smettere di telefonare».
«Al telefono di casa? Mia madre?» chiesi. Non ci potevo credere.
«Dalla nave le comunicazioni via cellulare in alcune zone erano impossibili. O via satellite o via telefono fisso».
«Ma cosa dici?».
«Sei sposata?» mi chiese guardandosi intorno.
«No, certo che no» riuscii a balbettare. «E tu? La nave?».
«Sbarcato. Ho trovato la mia isola».
«Fidanzato?».
«Sì e da tanto. Con una ragazza italiana che lavorava con me in un ristorante. Io non l’ho mai lasciata».
La mia amica vedendo le mie lacrime decise che per lei era venuto il momento di andare a letto. Ci lasciò soli, lì, in mezzo a quel ristorante pieno di palme a cui erano appesi gli auguri di Pasqua in tante lingue diverse.
«Ho riconosciuto l’odore delle tue spezie sai…» riuscii a dire.
Massimo si limitò ad annuire e a sorridere. Rimase per un momento immobile poi alzò di scatto il braccio e intercettò un cameriere.
«Champagne».
Fu il nostro primo brindisi a quelle latitudini che avevano visto riaccendersi dalle ceneri un amore mai sopito.
Io riuscii a farmi assumere come addetta al marketing in un altro resort dell’isola e rimasi a Bali insieme a lui. Fu solo quando scoprimmo che stavamo aspettando un bambino che decidemmo di rientrare in Italia.
Oggi nostra figlia Arianna ha due anni, è nata ad aprile e festeggia il suo compleanno proprio nel periodo di Pasqua. Io e Massimo l’abbiamo fatta venire al mondo qui in Italia e dopo la sua nascita ci siamo lanciati in un’altra avventura. Un ristorante tutto nostro.
Massimo segue la cucina e io la promozione. Per ora va alla grande ed è sempre pieno. Anche mia madre è cambiata, ora se n’è fatta una ragione, adora la nipotina con tutta se stessa e anche suo genero.
Ma in ogni caso… non saprà mai la verità.
Non saprà mai che io Massimo, disperata com’ero, me lo sono andata a cercare.
Sicura che Marco, così attaccato al suo lavoro, non sarebbe mai partito con me, avevo deciso di tentare il tutto per tutto. Feci ricerche su ricerche, finché non riuscii a trovare il nome di quel resort di Bali. Partii per lui, per rivedere il mio amore e oggi posso dire, seduta qui al bancone del nostro ristorante, che se è vero che il destino mi ha offerto una grande occasione durante le mie vacanze di Pasqua, è pur vero che io l’ho saputa cogliere al volo e il mio futuro me lo sono andata a riprendere all’altro capo del mondo.
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