Scuole sbarrate da mesi, ragazzi chiusi in casa privati di ogni attività sociale, sportiva e culturale. È questo il triste bilancio del lockdown per i più giovani, quella fascia di età che va dai 13 ai 18 anni che ha accettato obbediente e silenziosa le regole di distanziamento sociale, con un senso di responsabilità anche maggiore di quello degli adulti, che si è abituata a seguire le lezioni a distanza nel giro di pochi giorni e che continua a studiare, anche se tutti sanno che nessuno sarà bocciato, e che l’anno scolastico ormai è andato così.
Del tema parliamo su Confidenze nella rubrica di Tiziana Pasetti Quindici e dintorni, ma il vero problema si prospetta per il dopo emergenza Covid. Perché diciamo la verità, in questi mesi non tutti i ragazzi hanno avuto le stesse opportunità, a cominciare da quella di disporre di una connessione Internet come si deve e di un computer personale (spesso a casa ce n’è uno, ma con i genitori in smart working, alcuni si sono dovuti accontentare di seguire le lezioni sul cellulare). E poi, se è vero che il mondo della scuola in generale ha risposto bene e presto all’esigenza di creare una didattica distanza è anche vero che la situazione cambia a seconda delle Regioni e degli stessi istituti.
Guardando alla mia esperienza personale (sono mamma di un sedicenne chiuso tutto il giorno nella sua stanza tra lezioni on line e chat con gli amici) e confrontandomi con altre mamme e con amiche insegnanti, vedo già come nella città di Milano la situazione sia eterogenea: non tutti i prof sono stati in grado di svolgere lezioni on line in modo continuativo e spesso i ragazzi si sono dovuti accontentare di slide in Power Point mandate via mail o di un semplice ripasso (non è il caso di mio figlio che ogni mattina alle 8 si collega con la classe e che forse ha più compiti adesso di prima).
Ma si sa la scuola non è fatta solo di nozioni e in questi mesi ai ragazzi è mancato soprattutto il supporto delle tante attività formative a contorno: penso per esempio alle certificazioni linguistiche in programma rimandate all’anno prossimo, alle gite scolastiche nelle città d’arte, alle uscite a mostre e spettacoli teatrali, cancellate in un colpo solo, e poi agli sport che arricchiscono i pomeriggi: dal basket, al tennis al calcio e che sono per loro un irrinunciabile fattore di relazione sociale.
È indubbio che da questa situazione i ragazzi ne escano impoveriti, E di povertà educativa parla proprio Save the Children nell’ultimo rapporto diffuso in questi giorni dove si analizzano le conseguenze del lockdown sui più giovani.
Lo studio è stato realizzato dall’istituto di ricerca 40dB su un campione di oltre 1.000 bambini e ragazzi tra gli 8 e i 17 anni e i loro genitori, e parla chiaro: per un ragazzo su 20 c’è il timore di abbandono scolastico, un fenomeno che già riguarda nel nostro Paese il 13,7% dei minori.
Circa 1 minore su 5 incontra maggiori difficoltà a fare i compiti rispetto al passato e, tra i bambini tra gli 8 e gli 11 anni, quasi 1 su 10 non segue mai le lezioni a distanza o lo fa meno di una volta a settimana. Un genitore su 20 ha paura che i figli debbano ripetere l’anno, nonostante le disposizioni ministeriali lo vietino, o che possano lasciare la scuola.
E infine sei genitori su dieci (60,3%) ritengono che i propri figli avranno bisogno di supporto quando torneranno a scuola, data la perdita di apprendimento degli ultimi mesi.
Naturalmente i dati variano da Regione a Regione e se è soprattutto al sud che si concentrano le percentuali più elevate di studenti in condizioni di maggiore svantaggio socio-economico e culturale, con le province di Taranto, Napoli, Barletta-Andria-Trani che presentano percentuali superiori al 30%, da una delle mappe elaborate dall’Organizzazione spiccano anche alcune province del centro e del nord, come Prato con il 28% e Vercelli con il 24,4%
E poi c’è la fragilità socio-economica delle famiglie intervistate: il 38,9% ha dichiarato di aver visto peggiorare il tenore di vita a causa della crisi del Covid.
Save the Children ha lanciato in questi giorni la campagna Riscriviamo il futuro, per sensibilizzare il Governo, il Parlamento, le Regioni e gli enti locali a riscrivere il futuro dell’Italia e aiutare i bambini con un Piano straordinario per l’infanzia e l’istituzione di un’unità di missione che ne garantisca l’attuazione.
C’è il rischio che anche quando la scuola riprenderà a settembre i nostri figli restino intrappolati tra crisi economica e povertà educativa, e non dobbiamo permetterlo.
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