“La visione paternalistica e semplicistica della povera vittima di cattivi profeti online viene pacificamente estesa a tutti noi, utenti della rete: «su internet le masse di utenti si comportano esattamente come la folla di una piazza, dove si rischia di perdere la cognizione di sé stessi per restare preda degli istinti più irrazionali e, spesso, più brutali». Una visione di cittadini come minus habens, la quale, a parte essere piuttosto offensiva, trascura due fatti essenziali: innanzitutto, la capacità di discernimento di cui ogni essere umano è, fino a prova contraria, dotato, e che si è tenuti a esercitare di fronte a qualsiasi fonte di informazione; in secondo luogo, il fatto che noi tutti, lungi dall’essere soltanto consumatori passivi e imbelli di notizie, siamo anche produttori e ripetitori delle stesse. Il che significa che i cattivi profeti online, spesso e volentieri, siamo noi stessi: altro che vittime! Un esempio lampante delle nostre responsabilità collettive nello smercio di disinformazione lo ha fornito il recente diffondersi in Italia del virus COVID-19. Ciò che si sarebbe voluto e dovuto far sapere ai cittadini non era facile da gestire comunicativamente: da un lato, c’era il desiderio di evitare allarmismi e isterie, ad esempio sottolineando l’elevato tasso di guarigioni, soprattutto in soggetti privi di patologie o vulnerabilità pregresse; dall’altro si volevano promuovere significativi sforzi di prevenzione, per limitare l’estensione e la rapidità del contagio, onde scongiurare ricadute insostenibili sulla collettività. A fronte di una situazione comunicativa e sociale così complessa, cos’è successo in materia di (dis)informazione sul COVID-19? Di tutto e di più: dalle iniziali grida contro la minaccia asiatica si è passati a misure draconiane in casa nostra, il tutto condito da un crescente e confuso chiacchiericcio collettivo sui social media. Le istituzioni e i media tradizionali hanno avuto le loro colpe, senza dubbio. Ma è impossibile non vedere il ruolo enorme giocato dall’informazione «fatta in casa», dal passaparola e dagli estemporanei vademecum su cosa fare e non fare con questa epidemia, elargiti da pulpiti improbabili e da oratori privi di credenziali in materia”.
Non è la prima volta che vi consiglio un saggio e non sarà di certo l’ultima. Lo faccio con serenità e convinzione: è uno dei ‘generi’ che preferisco. Stimolo per il pensiero, per la riflessione, il saggio è una ginnastica che allena gli occhi, un super alimento per il cervello. Noioso? Dipende. Esistono romanzi illeggibili, esistono saggi insostenibili. Però, e non mi stancherò mai di ripeterlo, di studiare non si deve smettere mai. Non possono bastare i giornali, a formarci. Non devono.
Di fake news si parla ormai ovunque, è un termine prezzemolo, un condimento per ogni ricetta/discorso. Fanno male, dicono tutti. E questo può essere vero, ma c’è un ma. Cosa vuol dire che fanno male? In quale modo? E per colpa di chi?
Le bufale non sono poi così difficili da riconoscere. Basta essere attenti, basta essere consapevoli che l’informazione si può giudicare, criticare, bocciare. Anche deridere. Perché bufala non è solo una notizia falsa, bufala è anche un articolo scritto male, non rispettoso della deontologia, bufala è un titolo che altera il significato del corpo, bufala è l’approssimazione. Il lettore, se ben disposto e ben ‘nutrito’, può armarsi: capire dove e come cercare, prima, le informazioni necessarie e poi le opinioni in merito. Saper, soprattutto, capire la differenza tra notizia e ‘rilettura’ personale di un politico, filosofo, romanziere, blogger. La bufala non è solo eclatante, è anche una sfilacciatura che può sembrare lieve.
«Chi trova una bufala trova un tesoro», afferma Paglieri. «Vivere disinformati e felici richiede realismo, creatività, pazienza e disciplina, umiltà e amor proprio, senso dell’ironia, tolleranza, educazione, cambiamento della narrazione in cui viviamo immersi».
Vi consiglio di soffermarvi, è una delle parti che amo di più nei saggi, sui riferimenti bibliografici. Ogni testo che ha fatto da ‘amico’ a quello che stiamo leggendo è una possibile, ottima, nuova scoperta.
Fabio Paglieri, La disinformazione felice, il Mulino
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