La storia vera Ho di nuovo fiducia raccontata da Anna Luchetta parla di una donna che soffre di un disturbo molto diffuso, ma di cui purtroppo si parla ancora poco tra la gente comune: la depressione.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che al mondo ne siano interessate circa 350 milioni di persone (solo in Italia 3 milioni) e che si tratti di un disturbo tra i più invalidanti, che rischia di diventare una delle malattie croniche più diffuse entro il 2030.
Ma perché questa patologia, che non a caso viene definita il male oscuro, è ancora così poco conosciuta e spesso non viene neppure adeguatamente curata?
Il primo ostacolo riguarda proprio la richiesta di aiuto da parte di chi ne soffre. Le persone tendono a non parlarne con nessuno perché si vergognano della loro condizione e molte di loro non la accettano neanche. Oppure pensano di non riuscire comunque a guarire dal loro stato e quindi ritengono inutile ogni tentativo di cura.
Per questo qualche tempo fa, prima che il Covid -19 travolgesse le nostre vite, l’Area Sanità e Salute di Fondazione Istud insieme alla Società Italiana di Neuro Psicofarmacologia, all’Istituto Italiano di Psichiatria e a Fondazione Onda (Osservatorio Nazionale sulla salute delle Donne) hanno presentato un interessante progetto di medicina narrativa “Fuori dal Blu” che ha raccolto in un libro 96 storie di depressione maggiore, raccontate a tre voci: da chi la vive direttamente su di sé, dalle persone loro più vicine (i cosiddetti care giver) e dai medici psichiatri che li accompagnano nel percorso di cura.
Attraverso il coinvolgimento attivo di 5 centri di psichiatria sul territorio nazionale, (a Milano il Fatebenefratelli; a Udine la Clinica Psichiatrica dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata; A Roma l’Ospedale Sant’Andrea; a Civitanova Marche il Dipartimento di Salute Mentale 3 ASUR Marche e a Palermo il Dipartimento di Salute Mentale ASP) le persone con la depressione maggiore sono state invitate a narrarsi nel loro vissuto quotidiano, intimo, familiare e sociale.
“L’obiettivo del progetto era riuscire a far parlare le persone di una condizione difficile da far comprendere.– racconta la Dott.ssa Maria Giulia Marini, Direttore Scientifico e dell’Innovazione dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD – Avere la depressione maggiore, non significa semplicemente “essere tristi” o “giù di corda” ogni tanto, ma trovarsi in una condizione di persistente e severo abbattimento, al quale in quel momento non si riesce a reagire, indipendentemente dalla propria volontà, e che quindi richiede delicatezza e assenza di giudizio.
“Per questo progetto è stata elaborata una traccia narrativa basata su un linguaggio semplice e universale, capace di guidare i racconti attraverso il tempo della malattia, da prima della depressione, all’oggi, fino a vedere, o rivedere, il futuro”.
Il punto di forza della ricerca è stato quello di ascoltare e unire più punti di vista sul vissuto di questa condizione, il che ha permesso di fare emergere una serie di aspetti importanti: per esempio il fatto che le persone con depressione soffrano di solitudine sia nel senso sociale (il 54% vive solo), sia nel senso di solitudine interiore, non percepita da chi li sta intorno. Ma c’è anche la sofferenza taciuta dai familiari, (il 42% ha ammesso di avere difficoltà a parlarne) che sono i primi a reprimere le loro emozioni per mantenere il ruolo di sostegno, fino a rischiare di risentire loro stessi degli effetti della depressione.
E poi c’è l’impotenza iniziale del medico di fronte alla sofferenza, ma anche il suo ruolo chiave che diventa elemento di svolta nell’84% delle storie raccolte. Quando arriva l’aiuto giusto, inizia il percorso verso la guarigione.
Lo studio ha messo in luce anche le tante facce della depressione che si è manifestata in diversi contesti ed età della vita, più frequentemente tra le donne (69%) e in seguito a un’esperienza di malattia, a problemi lavorativi, a difficoltà delle relazioni familiari e sentimentali.
Le 96 storie di depressione maggiore raccolte nell’ambito di questo progetto ci dicono che parlare di depressione è possibile, e se si utilizza il linguaggio appropriato, non giudicante, le persone scelgono di aprirsi al loro vissuto.
“Anche scrivere cura, aiuta a star meglio, consente di condividere e far emergere emozioni, paure, angosce più difficili da raccontare verbalmente. Nella maggior parte degli scritti si manifesta un grande coraggio che a volte nemmeno chi scrive pensava di avere. E queste esperienze sono di grande aiuto anche per noi medici, ci aiutano a capire meglio, a fermarci, ad analizzare e condividere la sofferenza di chi ci sta davanti e mette nelle nostre mani con fiducia la propria esistenza.” ha commentato Claudio Mencacci, Co-Presidente della SINPF e Direttore del Dipartimento Salute Mentale-Dipendenze Neuroscienze, Asst FBF-Sacco di Milano.
Per chi fosse interessato il libro Fuori dal blu (di Paola Chesi, Maria Giulia Marini e Luigi Reale) si può acquistare online a questo indirizzo e sul sito dell’editore Effedi
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