Si chiama “sindrome di Proust” e non è roba da poco. Infatti, viene studiata addirittura dai neuroscienziati. Di cosa si tratta? Del potere evocativo dell’olfatto, in grado di far riaffiorare ricordi e sensazioni solo ed esclusivamente con un determinato profumo.
Ve ne parlo perché sul numero di Confidenze in edicola adesso c’è un articolo di bellezza che si intitola, appunto, Profumi d’estate. Quelli citati sono i golosi sentori della pesca, del fico o del fiore di tiarè. Mentre gli odori che nel mio immaginario annunciano e celebrano i mesi caldi, trasportandomi ogni volta che li annuso in un vortice di emozioni, sono altri.
Tra le note che anno dopo anno mi avvolgono in una struggente allegria (sì, provo proprio questo sentimento contrastante) ci sono quelle che aleggiano nell’aria in montagna verso la fine della stagione sciistica. Descriverle a parole è assolutamente impossibile, eppure per noi che frequentiamo quel posto fin da piccoli, basta che uno dica «profumo di Courmayeur a marzo» ed ecco che a tutti gli altri si apre un mondo fatto di ossimori.
Alla malinconia di una stagione che si chiude, infatti, si mescola la gioia delle giornate che si allungano e della natura che si prepara a scoppiare. E subito la mente corre alle mille versioni in cui il paesino ci ha visti in quel momento di passaggio. Cioè, bambini desiderosi di diventare adulti, teen ager felicemente consapevoli di avere la vita davanti, giovani sposi innamorati, genitori bramosi di far amare ai nostri figli la montagna come l’abbiamo amata noi, signori di mezza età alle prese con… la mezza età!
Lo stesso ingarbuglio di sensazioni si impadronisce di me quando il naso incontra i dolci sentori del pitosforo e del gelsomino (questi sì che sono facili da definire). Tant’è che in moto in Liguria, spesso mi scopro ad alternare sorrisi e commozione sotto il casco, neanche fossi al cinema a vedere una commedia dolce-amara.
I profumi, insomma, sono una miccia che accende ogni genere di ricordi e stati d’animo. Non solo quelli che arrivano dalla natura. Esistono, per esempio, eau de toilette che rammentano persone che non vedi da secoli. Aromi culinari che riportano a serate particolari. Case in cui entri fisicamente, ma con la mente che vola altrove. Scatole che, appena aperte, emanano odori che evocano il passato più remoto.
Insomma, quando si dice che la memoria non dimentica mai le note olfattive è assolutamente vero.
Io, per esempio, avrò stampati nel cervello per sempre il meraviglioso profumino dell’orsacchiotto con cui dormivo da bambina e quello della mia della mia cartella delle elementari. Ma non scordo neanche l’odore della casa della zia Bianca. Che non era buonissimo, ma mi piaceva lo stesso perché preannunciava una scorpacciata di cioccolatini.
Amari, al latte e bianchi, erano lo specchietto per le allodole. Ovvero, per noi nipoti che al ritorno dalla spiaggia, durante le vacanze estive accettavamo di buon grado l’obbligo della visita all’anziana parente, solo perché ripagata da quei dolcetti rigorosamente vietati a casa nostra e offerti con generosità nel suo salotto.
Che profumo avevano? E chi l’ha mai sentito: era soffocato dall’odore della casa della zia Bianca.
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