Mamme e figli maschi: istruzioni per l’uso

Cuore
Ascolta la storia

Come evitare di crescere un mammone o un futuro Rambo. Ecco cosa cerco di fare io

So che non dovrei dirlo, ma quando seppi a suo tempo di aspettare un bambino, sperai subito che fosse maschio. Non per ragioni dinastiche (a mio marito non interessava più di tanto) ma perché non mi vedevo nei panni di mamma di una figlia femmina specie in quell’età così complicata che è l’adolescenza, tra trucchi parrucchi e magliette attillate.

Forse rivedevo me stessa adolescente e le litigate con mia mamma, o forse, avendo avuto in famiglia solo una sorella, mi era rimasta quel pizzico di curiosità in più verso l’universo maschile, che andava oltre i rapporti con la figura paterna o quelli con gli eventuali fidanzati.

Adesso che mio figlio ha 16 anni invece un po’ invidio le madri di figlie femmine se non altro per una certezza confermata dall’antica saggezza popolare: la figlia femmina rimane accanto alla madre, con un rapporto di complicità che cresce nel tempo, mentre il maschio, tanto amato e coccolato, essendo uomo è destinato ad andarsene, a lasciare il nido e soprattutto a diradare le attenzioni verso la figura materna a favore della nuova compagna.

Tutto vero? Per me è presto per dirlo, (mio figlio ha 16 anni) ma non posso che riconoscermi in questo legame speciale. Privo della rivalità femminile che si crea a un certo punto con le femmine, (alzi la mano chi non l’ha mai sperimentata, se non altro da figlia); basato su una fusione che arriva da lontano (dal grembo materno appunto) e su una dipendenza maggiore (perché si sa le bambine sviluppano prima maggiore autonomia anche dalla figura materna) il rapporto madre-figlio trova la sua alchimia nella differenza di sessi che lo tiene sempre sul filo di lama perché è facile finire nel mammismo o nel “fare coppia” specie in assenza di una figura paterna, e ancor più facile uscire con frasi tipo: “Sei proprio come tuo padre, sbadato ed egoista..”) con tutte le implicazioni che questo comporta verso la (s)fortunata che un domani impalmerà il nostro pollastro.

Così ho letto con particolare interesse l’articolo su ConfidenzeMamma e figlio, un legame unico” dove Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell’età evolutiva, spiega i fondamenti di questo legame e come svilupparlo al meglio, onde evitare di trasformarsi in quelle mamme chiocce tanto deprecate.

Una donna consapevole e serena riesce a gestire in maniera equilibrata anche il rapporto fisico con il figlio” dice la nostra esperta, toccando un tasto delicato. Si sa che crescendo, i nostri maschietti, vanno sbaciucchiati un po’ meno, perché non abbiamo più davanti un fagottino inerme o un ragazzino, ma come nel mio caso un marcantonio alto 1.85 che mi guarda dall’alto con fare protettivo e per nulla timoroso. Tuttavia è una distanza fisica che è difficile da realizzare per una madre e spesso anche per loro. Vedo mio figlio che a volte la sera quando guardiamo la televisione si accoccola vicino a me in cerca di tenerezze e  non penso che quelle quattro carezze che gli dispenso possano pesare negativamente sul suo futuro equilibrio psichico. Per contro, mi faccio già violenza ogni giorno quando torna a casa da scuola per non abbracciarlo e baciarlo, (l’emergenza Covid in questo aiuta), proprio per evitare inutili smancerie e quindi il mio sacrificio di mamma chioccia l’ho già fatto. Ma poi leggo nell’articolo che bisogna anche evitare di inculcare i classici atteggiamenti da macho: “Sei un maschio, devi essere forte, non devi piangere” e quindi mi sento più rasserenata.

L’ideale dice la nostra esperta è raggiungere : “ Un legame forte e affettuoso che gratifica la madre e permette al ragazzo di diventare un uomo sicuro di sé e rispettoso dell’altro sesso”.

Anche questa seconda affermazione mette sul piatto un tema importante, perché le mamme di figli maschi hanno una responsabilità enorme, quella di crescere futuri uomini rispettosi dell’altro sesso e predisposti alla collaborazione in casa. Ora, mentre sul primo punto ho lavorato in maniera ossessiva fin da quando era piccolino (quante gomitate e ultimatum intimidatori alle porte dell’ascensore quando incontravamo una signora della casa, del tipo “fai passare prima la signora”,  “tienile aperta la porta”) sulla collaborazione in casa ammetto di essere stata meno solerte. Come tante donne, tendo a fare le cose al posto degli altri, figli e marito in primis (peraltro mai pronti a farle quando glielo si chiede). E così il sabato e la domenica via a rifargli il letto, la sera eccomi ad apparecchiare la tavola mentre lui sta ancora studiando o a mettergli in ordine la camera appena vedo vestiti in giro. Quando ho capito che così facendo lui non avrebbe mai preso l’iniziativa e non sarebbe diventato autonomo, ho cominciato a diradare gli interventi di soccorso.

In compenso vedo che si sta appassionando in cucina e spesso mi aiuta la sera o propone di cucinare lui qualche piatto.

Ma al di là di queste piccole incombenze, credo di avergli trasmesso in questi anni un insegnamento importante e non scontato: che la donna può ritagliarsi, se vuole, un’autonomia lavorativa e personale alla pari di un uomo e che, anche se mamma, può cercare di conciliare questo ruolo con quello nella società. Credo sia un esempio fondamentale anche per quando mio figlio sarà uomo perché per esperienza personale mi sono accorta che i figli di madri casalinghe, una volta adulti, spesso danno per scontate tante cose e finiscono per pretendere una perfezione che non è di questo mondo.

Finché il lavoro mi ha tenuta fuori casa tutto il giorno mio figlio, per esempio, ha imparato a gestirsi le chiavi di casa senza perderle, a scaldarsi nel microonde quello che c’era di pronto da mangiare e soprattutto a diventare responsabile nello studio senza che ci fosse bisogno di stargli con il fucile puntato addosso.

Ora che siamo in smart working, mi godo, come mamma, ciò che di bello offre questo momento così speciale: per esempio la gioia di accoglierlo a casa quando torna da scuola, di  ascoltare i racconti della mattinata, gli aneddoti dei compagni, e di condividerli nel momento in cui cui lui ha voglia di raccontarli, senza dover aspettare il mio rientro serale, quando stanca e affannata dalla giornata lavorativa, lo assalivo con estenuanti interrogatori, –  Com’è andata a scuola? La verifica poi su quali argomenti era?–  che avevano come unico effetto quello di ottenere in cambio risposte a monosillabi o un generico “Sì tutto bene” solitamente sussurrato senza alzare gli occhi dal cellulare.

Per concludere vorrei dire che maschi o femmine, il legame con un figlio resta unico comunque e ricco di sfumature che ciascuna di noi deve essere capace di coltivare.

Confidenze