Mai arrendersi: la mia lotta alla sclerosi multipla

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La storia vera di Ileana Speziale, giornalista, malata di sclerosi multipla raccolta da Rossana Campisi e pubblicata su Confidenze

Correva l’anno 2009 e la maturità era alle porte. Mi aspettava il giro di boa, l’occasione per dare una svolta a una vita che stava salutando l’adolescenza. Ero stressata, certo. La preparazione a quell’esame però giustificava tutto, o meglio ai miei occhi certi sintomi sembravano ragionevoli: non lo erano, dopo mesi di accertamenti sarebbe arrivata invece la diagnosi di sclerosi multipla. Mal di testa ricorrenti, stanchezza, affaticamento e quel dolore con appannamento nell’occhio destro, che presto imparai a chiamare neurite ottica (infiammazione del nervo ottico, appunto) spinsero me e soprattutto la mia famiglia ad andare a fondo. Ci vollero sei mesi, due neurologi, un referto effimero e fuorviante emesso da un pronto soccorso oftalmico, tre risonanze magnetiche e tanto, tanto cortisone. Alla fine un incontro importante: un oculista di buon cuore, oltre che un gran professionista, mi visita. Sospetta fin da subito che si possa trattare di una patologia demielinizzante, mi incanala allora nel giusto percorso clinico. Al mio fianco allora come oggi i miei genitori, le persone più simili a due angeli custodi. Il giorno della diagnosi erano lì con me. Furono i primi a saperlo. Battaglieri e scrupolosi, da quel momento non hanno mai lasciato la mia mano. Erano lì, pronti a iniziare la nostra nuova vita e io con loro. Di fronte alla sentenza emessa dalla mia tanto amata neurologa, che purtroppo oggi non c’è più, è stato quasi impossibile riuscire a pensare razionalmente. Questa è la verità. Riuscivo solo a ripetere nella mia mente la parola: sclerosi multipla. La scandivo lentamente. Monosillabi, uno dopo l’altro. Facevo lo stesso con la parola “disabilità” associandola subito, e per istinto, a un’altra: patologia.

È stato così che sono caduta anch’io nel pregiudizio contro il quale oggi mi batto. Era pomeriggio e dopo quella visita sono andata subito nell’ufficio dove avevo da poco iniziato a collaborare come volontaria del Servizio Civile Nazionale. Volevo comunicare subito a qualcuno quel che avevo saputo e così è stato. L’ho detto al primo collega che ho incontrato soffermandomi sulla sua reazione, era quello il mio obiettivo: probabilmente è stato il primo test per capire come avrebbe reagito il mondo esterno alla notizia. Ho visto il collega diventare triste.

E ho capito già quel giorno cosa mi aspettava per il futuro: avrei dovuto dimostrare a chiunque una certezza. Ovvero che prima della patologia, prima della sclerosi multipla, c’è Ileana. I suoi valori, i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi sogni. Ho sentito dentro di me un gran senso di rivalsa insomma, lo stesso che oggi chiamo resilienza. Parola abusata, lo so. Ma per me, con i miei 30 anni e il mio lavoro da giornalista, è una parola importante. Sono nata e cresciuta a Roma, aspetto il principe azzurro e non molto altro dalla vita. O meglio,  fino a qualche tempo fa temevo l’imprevedibilità della mia patologia che potrebbe risvegliarsi in qualunque momento. Ma oggi forse perché sono passati 11 anni dalla diagnosi e la ricerca ha fatto nel frattempo anche i suoi passi, ho imparato a interpretare la sclerosi multipla come metafora di vita: non ne conosciamo esattamente la provenienza e men che meno l’evoluzione, ma l’unico dato tangibile in tutta questa storia è l’attimo che stiamo vivendo. Le paure rischierebbero di travolgermi in un tunnel senza via d’uscita se glielo permettessi, e quella stessa imprevedibilità temuta un tempo, oggi mi spinge a credere che la vita è straordinaria. “Di doman non c’è certezza” recitava Lorenzo il Magnifico nella sua Canzona di Bacco! Me lo ripeto ogni giorno anch’io.

 

La mia fonte di conforto? I miei genitori, quelli che ho definito “eroi titani”. Come vivo? Non sono mai stata sulle montagne russe, ma credo che questa immagine renda bene cosa significhi convivere con la sclerosi. Un giorno ti senti al top della forma e nessuno riesce a starti dietro, il giorno dopo non ce la fai, senti di avere il freno a mano tirato. Al momento, a parte qualche mal di testa di troppo e la stanchezza repentina, me la cavo alla grande. In passato, invece, sono stata costretta a molte rinunce. Gli obiettivi però li ho centrati tutti: dalla laurea alla vacanza folle a Mykonos dove gli amici, a turno, si sono cimentati nel ruolo di infermieri per sopperire al mio pessimo rapporto con gli aghi. Faccio regolarmente analisi di controllo, visite e accertamenti: essere monitorata costantemente mi fa sentire al sicuro, mi dona la sensazione o forse la piacevole illusione di avere in pugno la malattia. La sclerosi multipla è un avversario subdolo e ha un’evoluzione mai uguale per tutti, per cui i falsi pregiudizi ormai non si contano: ho sentito perfino parlare di “rischio contagio”!

Non azzarderei a definirmi religiosa, ma sono molto vicina ai principi cristiani secondo i quali sono cresciuta. Per ora mi limito a sperare di avere sempre la forza necessaria ad affrontare le “croci” che incontrerò sul mio cammino, con l’augurio di riuscire ad alleviare anche quelle delle persone più fragili, come ho sempre fatto grazie ai numerosi progetti sviluppati con l’associazione di promozione sociale “Libera Civitas”, della quale sono presidente. C’è poi un film che rivedo con piacere e a cui penso spesso. Si chiama Amori e altri rimedi, regia di Edward Zwick. Parla delle emozioni contrastanti di una donna molto giovane colpita da una patologia degenerativa ma anche di quello che prova chi entra nella sua orbita. Dalla diagnosi in poi, descrive esattamente come la negazione blocchi il processo di rinascita e come i sentimenti riescano a rimettere in circolo invece l’energia vitale. Non dobbiamo mai chiuderci in noi stessi perché il rischio è quello di sprofondare nella solitudine. Penso per esempio a una donna che per me è anche un modello di vita, Frida Kahlo. Anticonformista, fuori dagli schemi, rivoluzionaria, innovativa, libera. Grazie alla sua indole passionale che ci accomuna è riuscita a godere delle sfumature più sottili che le emozioni della vita possono donare solo a chi ha l’animo predisposto a riconoscerle. È esattamente così che voglio vivere. E poi, grazie alla storia premiata che finirà nell’agenda del prossimo anno e che ho firmato con lo stesso titolo del mio primo romanzo, è accaduto qualcosa di incredibile: la mia malattia è stata il trampolino di lancio per i miei sogni coltivati fin da bambina. Ho sempre voluto scrivere, non avrei pensato di debuttare con un libro: Sedotta e sclerata, e men che meno che con la mia storia mi sarei data uno scopo ambizioso: aiutare gli altri ad andare oltre, oltre le tristezze e gli scleri di ogni giorno.

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