Vi riproponiamo sul blog una delle storie vere più apprezzate del n. 51 di Confidenze
Mi porto nel cuore una colpa, seppellita dall’amore che per tanti anni ha unito me e mio marito. Se lui fosse ancora qui, forse insieme troveremmo le parole giuste per dire a nostra figlia la verità. Ma mi chiedo: sarebbe un bene per lei saperla?
STORIA VERA DI CONCETTA P. RACCOLTA DA MARIA LA GROTTA
È ancora molto presto, però questo è il momento che preferisco per venire a trovare mio marito. Poca gente in giro, un silenzio tranquillo, interrotto ogni tanto dal cigolio della vecchia carriola del custode del cimitero. Accenna un saluto nella mia direzione, dopodiché riprende il suo lavoro.
Ecco, sono arrivata, mi siedo sul freddo marmo che ricopre il loculo e bacio la sua foto.
Vorrei venire tutti i giorni, ma la vecchiaia avanza e non ce la faccio più a sobbarcarmi il viaggio in autobus. Avrei potuto chiedere a mia figlia Francesca di accompagnarmi e l’avrebbe fatto con tutto il cuore, lo so. Anche lei viene a trovarlo ogni volta che può, si amavano tanto quei due! Mai visto padre e figlia avere un rapporto così forte e cosi complice. A volte mi sentivo io l’esclusa e glielo rinfacciavo ma loro ridevano divertiti.
Oggi però non potevo chiedere a Francesca di venire, perché il motivo per cui sono qui riguarda proprio lei. Ho bisogno di un consiglio, amore mio, di un segnale, di qualcosa che mi faccia capire che sei d’accordo con me. Devo essere sicura che non mi disapprovi, anche se in- frangerò la promessa che ti avevo fatto.
Non voglio piangere, ma il rimpianto amaro della tua assenza in un momento così importante per me mi impedisce di tener fede alla promessa. Così come alcuni eventi mi impediranno di tener fede a quell’altro giuramento.
Non posso più nascondere alla nostra unica figlia quella verità che abbiamo taciuto insieme per troppo tempo. Non sarebbe giusto e non me la sento di portarmi appresso questo rimorso. Se tu fossi stato qui ne avremmo parlato e forse alla fine ti saresti convinto anche tu.
Ogni piccolo o grande problema lo abbiamo risolto appoggiandoci uno all’altra, sostenendoci a vicenda. Solo quella macchia nella nostra unione, altrimenti perfetta. I sacrifici per tirare su Francesca e per permetterle di studiare li abbiamo fatti in due, sempre con il sorriso sulle labbra, perché erano parte di un progetto di vita in comune che avevamo giurato di portare a termine.
E la soddisfazione più grande è arrivata quando abbiamo visto la nostra bambina laureata in Medicina e dopo, quando l’abbiamo aiutata ad aprire il suo piccolo studio. Francesca è stata il riscatto più grande della nostra vita, modesta ma serena. Eravamo una vera squadra e non c’è mai stato un segreto tra noi.
Tranne uno. Quello per cui sono venuta qui. Quel segreto che mi porto dentro da 35 anni e che tu hai portato insieme a te nell’oltretomba.
Forse è giusto che sia io da sola ad affronta- re tutto quello che seguirà perché in fondo, sono stata io a commettere quell’errore e solo io merito il suo disprezzo, se ci sarà. Non riesco a trattenere le lacrime che scendono copiose sul mio viso. Se soltanto non te ne fossi andato! Se fossi rimasto insieme a me ancora un altro po’, non mi sentirei così disperata adesso.
Sono sicura che insieme avremmo trovato le parole giuste per dire a Francesca la verità. Forse me l’avresti impedito oppure forse ti avrei convinto, perché non sei mai riuscito a dirmi di no.
Ho tanta paura che Francesca mi rinneghi come mamma, con che coraggio potrò guardarla in faccia mentre distruggo tutto ciò in cui ha creduto fino a oggi? Come potrò dirle che lei… che suo padre non era suo padre?
È questa la colpa che mi porto nel cuore da tanti anni.
Una colpa seppellita nel passato, un passato che però adesso sta per diventare presente e non posso più nasconderglielo. Non sarebbe giusto. Poco più avanti c’è un’altra tomba, su cui nessuno viene a deporre fiori. Ogni tanto mi faccio coraggio e mi fermo a recitare una muta preghiera.
E chiedo perdono all’uomo che riposa qui, poco distante da mio marito. Che macabra ironia il destino! Il vero padre di Francesca e mio marito, riposano vicini.
Sandro… è lui l’uomo con cui 35 anni fa ho tradito mio marito. Mi sento mancare il respiro ancora oggi se ripenso a quell’unica volta in cui sono stata una sciocca, una sconsiderata, che non ha nessuna attenuante per ciò che ha fatto. L’unico dono che mi è rimasto di quella notte maledetta è la mia dolcissima Francesca, a perenne ricordo di quel momento di follia.
Io e Mario ci eravamo sposati giovanissimi perché eravamo innamorati persi uno dell’altra e volevamo stare insieme. Per cui, non appena ebbi compiuto i 18 anni, obbligatori per sposarsi, organizzammo un semplice matrimonio.
Avevamo fretta di cominciare la nostra vita a due e di allargare la famiglia con almeno tre figli che rallegrassero le nostre giornate e gli anni a venire. Avevamo una buona dose di sconsideratezza perché non navigavamo certo nell’oro, però eravamo felici e innamorati.
Passò il primo anno e nessun bambino rallegrò la nostra vita. I parenti non facevano che pressarci con le loro domande e qualcuno di loro, con aria saputa, cominciò a malignare che forse ero io “l’albero secco” che non produceva frutti. Le sentii con le mie orecchie queste parole, più pungenti di mille coltelli conficcati nel mio giovane cuore.
Piansi amaramente, e da quel momento cominciai a sentirmi infelice.
Intanto, i mesi passavano, inesorabili. Mario mi diceva di non preoccuparmi, che il bambino sarebbe venuto prima o poi e che, se anche non fosse successo, lui mi amava lo stesso. Erano altri tempi, tempi in cui la colpa di una mancata gravidanza veniva imputata sempre alla donna.
Inoltre non c’erano certo i controlli di oggi e se anche c’erano, noi non facemmo nulla per saperne di più. Nel frattempo, anche per sottrarmi all’apatia che si era impadronita di me man mano che i mesi passavano e non succedeva nulla, cercai un lavoro.
C’era un laboratorio di sartoria che cercava una ragazza dalle mani fini ed eleganti per effettuare lavori di rifinitura ad abiti di alta moda. Il titolare era un bell’uomo, imponente e affascinante. Si chiamava Sandro e mi assunse senza che io dovessi fare alcuno sforzo.
Il lavoro mi piaceva e inoltre il corso di cucito che tanto avevo detestato frequentare mi stava tornando molto utile. Sandro era molto soddisfatto del mio lavoro e non mancava mai di complimentarsi ogni volta che terminavo un abito.
Con Mario le cose andavano un po’ così.
L’entusiasmo dei primi tempi si era come smorzato, forse inghiottito da quel desiderio non ancora realizzato di un figlio nostro. La passione non mancava tra noi, però i nostri rapporti intimi erano diventati quasi meccanici. Ogni mese non succedeva nulla e ogni volta mi demoralizzavo sempre di più, chiudendomi a riccio anche con mio marito.
Solo al laboratorio stavo meglio. Spesso mi attardavo fin oltre l’orario stabilito perché in quel periodo c’era molto lavoro e Sandro aveva bisogno di me per rispettare le consegne stabilite.
«Tuo marito non se la prenderà con me che ti tengo qui fino a tardi?» mi disse una sera in cui facemmo davvero tardi. Il pensiero di Mario che mi stava aspettando per cenare insieme mi mise addosso una strana tristezza.
Non mi andava di tornare in quella casa così silenziosa, non mi andava di battibeccare con mio marito per ogni cosa. Perché era quello che succedeva ogni sera ormai.
Sandro mi guardava con una strana espressione, io mi sentivo sotto accusa, l’atmosfera tra noi era tesa.
Non so se fu la vicinanza, il fascino di quell’uomo così diverso da mio marito oppure la profonda crisi che stavo vivendo come donna ma…successe. L’inevitabile avvenne, in quel laboratorio.
L’enormità di quello che avevo fatto mi colpì in pieno, non appena riuscimmo a separarci. Sandro mi chiese scusa, ma io mi sentivo terribilmente in colpa. Io ero quella sposata, tra noi due, non avrei dovuto lasciarmi andare. Ricordo che scoppiai in un pianto dirotto mentre provavo disgusto per me stessa.
Scappai via come una furia. Mario, nel frattempo, non vedendomi rientrare, era venuto a prendermi fin sotto il laboratorio. Se anche si era accorto della mia agitazione, non lo diede a vedere.
A casa fu dolce e tenero come non mai e più lui mi dimostrava il suo amore, più io mi sentivo colpevole. Quella notte gli chiesi di stringermi forte mentre gli pro- mettevo che ero pronta a lasciare il lavoro per potermi dedicare completamente a lui e al nostro progetto. Chissà, se mi fossi rilassata forse sarei riuscita a rimanere incinta.
Mario lasciò a me ogni scelta. E io scelsi lui. Mille volte avrei scelto lui. Non potevo tornare in quel laboratorio come se nulla fosse stato, non me la sentivo. Quello che avevo fatto era stato un colpo di testa assurdo a cui mai avrei potuto dare un seguito. Amavo mio marito, l’avevo sempre amato. Ed era stato proprio Sandro, con quello che era successo tra noi, a farmi rendere conto che era lui che volevo e che avrei sempre voluto.
Tornai in quel laboratorio solo per comunicare la mia decisione. Sandro non mi chiese spiegazioni. Non servivano.
Non rivelai mai nulla a mio marito. Ripresi la mia vita cercando di dimenticare quello che era successo. Poi cominciai a sentire alcuni disturbi che addebitai al periodo di stress che avevo vissuto. Quando però svenni, nel bel mezzo di una cena tra parenti, tutti presero a battere le mani, congratulandosi con Mario. Non c’erano dubbi per loro, ero categoricamente incinta. E in effetti non si erano sbagliati. Finalmente aspettavo il mio primo bambino! La gioia assoluta che provavo era offuscata però da quel dubbio che si stava insinuando nella mia mente. Il bambino poteva essere di Sandro. I tempi coincidevano ma… no, non poteva essere. Una sola e unica volta non poteva aver dato frutti, il bambino era di Mario, mio marito. Doveva essere così!
Mi sforzai in ogni modo di dimenticare quel pensiero molesto e Mario mi aiutò tanto. Era al settimo cielo e aveva per me mille attenzioni. Se possibile, mi innamorai nuovamente e in maniera ancora più totale di lui. Ero stata davvero una sciocca e avevo rischiato di perdere l’uomo della mia vita. I mesi del- la gravidanza passarono veloci e in un freddo mattino di marzo nacque Francesca. Non somigliava a Sandro, ma nemmeno a Mario. Era la mia copia esatta, pensai con sollievo. Francesca cresceva serena e felice, circondata dal nostro immenso amore. Mario però desiderava altri figli che non vennero. Forse per questo fece qualcosa che cambiò le nostre vite per sempre. All’insaputa mia eseguì alcuni controlli in una clinica che aveva appena aperto nella nostra città. Finché avrò respiro, mai potrò dimenticare il giorno in cui rientrando dal fare la spesa, lo trovai seduto al tavolo della cucina, con quella busta davanti a lui e il suo sguardo perso nel vuoto.
Il suo viso stravolto mi fece capire subito che era successo qualcosa di grave e subito pensai a una malattia. Incalzato dalle mie domande, mi rivelò il contenuto di quella busta. Era sterile, incapace di concepire un figlio. Caddi in ginocchio, oppressa dal senso di colpa e piansi amaramente aspettandomi la sua reazione furiosa.
Ma Mario era uomo troppo perbene e lo dimostrò soprattutto in quel momento. «Chi è? Lo conosco?» mi chiese sedendosi a terra insieme a me.
«Una sola volta» risposi tra le lacrime «una sola e unica volta è successo. Dopo, ti ho amato ancora di più e non potrò mai perdonarmi per quello che ho fatto al nostro matrimonio».
«È Sandro vero?» disse più a se stesso che a me.
«Sì» fu la mia mesta risposta. «Io ti amo Mario, più della mia vita ma se non puoi credermi capirò…».
«In questi anni non ho mai dubitato del tuo amore. Mi hai dato tutto quello che un uomo può desiderare, compreso un gioiello di figlia come Francesca» mi disse in tono orgoglioso. «Non mi importa chi è il padre. Io l’ho cresciuta, io ho asciugato le sue lacrime, io la porterò all’altare se Dio mi concederà di arrivarci».
Guardandomi negli occhi, mi chiese di dimenticare per sempre quello che avevamo scoperto. Giurammo che non ne avremmo parlato mai più e che non
avremmo rivelato a Francesca la verità. Agli occhi di tutti lei sarebbe rimasta la nostra unica figlia, nata dal nostro grande amore. E così fu. Francesca crebbe con a fianco l’uomo che per lei era suo padre, amata da lui più di quanto avrebbe mai potuto fare un padre vero.
Stava già male quando Francesca convolò a nozze con un bravissimo ragazzo, medico come lei. Riuscì comunque a mantenere fede alla sua promessa e quel giorno la felicità pura si rifletteva negli occhi di entrambi, mentre avanzavano sottobraccio lungo la navata.
La malattia che lo aveva colpito non gli lasciò scampo e dopo solo tre mesi da quel bellissimo giorno se ne andò, lasciandomi nella disperazione più cupa. Fu solo grazie alla bella notizia che sarei diventata presto nonna, che trovai la forza di rialzarmi. Lo dovevo a mia figlia e a Mario, a cui avevo promesso di essere forte.
Sono passati cinque anni da allora. Francesca nel frattempo è diventata mamma di un bel bambino che è la luce dei miei occhi. Da qualche mese non mi sento tanto bene, il cuore è diventato troppo ballerino così ho fatto dei controlli e l’esito non è stato dei più felici.
Devo operarmi con urgenza ma l’operazione è molto rischiosa. Non ho paura. La vita mi ha dato molto.
È per questo che oggi sono venuta qui a chiedere un consiglio a mio marito.Vorrei dire la verità a mia figlia, vorrei togliermi questo peso dal cuore, anche se avevo giurato di non dirlo mai.
Che cosa devo fare Mario, qual è la risposta giusta al mio dilemma? Devo parlare, togliermi questo pesa dal cuore? Un leggero vento tiepido si è alzato. Sono passate due ore da quando sono arrivata, ma mi sono persa nei miei ricordi senza trovare soluzione. Nonostante ciò mi sento più tranquilla. È strano. Forse sei tu, Mario, che mi dai sicurezza come quando eri in vita.
È un attimo e all’improvviso mi pare di risentire la tua voce chiara, quando in quella cucina mi facesti giurare che non avrei mai rivelato la verità a nostra figlia. Hai ragione tu, hai sempre avuto ragione. È meglio lasciare le cose così come stanno, senza portare dolore a nostra figlia. Francesca ha avuto un solo padre e quel padre eri e resterai tu.
Per sempre. ●
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