Su Confidenze in edicola Maria Rita Parsi risponde alla lettera di una donna che dopo essere guarita dal virus si sente ancora fragile ed esposta non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente.
È una tendenza purtroppo confermata da studi specifici condotti negli ospedali che hanno avuto in cura i malati di Covid e che nei mesi successivi alla guarigione hanno continuato ad eseguire quello che in gergo tecnico si chiama il follow-up dei pazienti. L’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è tra i primi ad aver ideato e gestito un percorso di presa in carico, cura e studio dei pazienti guariti da Covid-19 e ha da poco diffuso lo studio clinico “Surviving COVID-19 in Bergamo Province: a post-acute outpatient re-evaluation” pubblicato su Epidemiology & Infection (una pubblicazione on line dell’Università di Cambridge).
In totale sono stati valutati 1.562 pazienti che si sono ammalati tra febbraio ed agosto 2020, durante la prima ondata epidemica, e che sono stati sottoposti a controllo di follow-up tra maggio e ottobre; la pubblicazione riguarda i primi 767 di questi pazienti.
Ebbene i risultati dello studio mostrano che 1 su 2 ha ancora sintomi, come affaticamento, dispnea da sforzo e palpitazioni. Le donne in particolare riferiscono la stanchezza con una frequenza quasi doppia. Una minima parte è ancora incapace di svolgere le normali attività e di lavorare e ha perso l’indipendenza o addirittura, in pochi casi non è più autosufficiente. Importanti gli esiti a livello psicologico, con il 30% ancora alle prese con aspetti traumatici correlati a Covid-19 anche se, per la stragrande maggioranza di loro, con risorse personali sufficienti per reagire.
«La malattia ha lasciato in diversi casi esiti psicologici rilevanti, come ci aspettavamo dopo un evento così traumatico, anche a livello sociale, che ha scardinato tutte le nostre certezze» ha spiegato Ave Maria Biffi, referente per la Psicologia del Papa Giovanni degli ambulatori psicologici allestiti alla Fiera di Bergamo. «I pazienti raccontano in particolare la solitudine vissuta in ospedale, nell’impossibilità di vedere famigliari e amici, e la paura data in larga parte dall’incertezza di quello che stava succedendo».
Proprio sugli effetti psicologici a lunga data dello stress da pandemia (e non solo per chi si è preso il virus) puntano l’attenzione gli esperti. «L’aumento dei casi di depressione e ansia tra la popolazione mondiale conseguenti alla pandemia SARS-COV2 è estremamente allarmante» spiega il prof. Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano, presidente della Società di Neuropsicofarmacologia: «la pandemia sta determinando la cosiddetta “tempesta perfetta”: emergenza sanitaria, conseguenze disastrose per l’economia mondiale e un severo impatto psicologico sulla popolazione. In Italia prevediamo fino a 200.000 casi in più di depressione generata dalla crisi economica».
La cosiddetta “sindrome della capanna” ovvero la tendenza a ritardare il ritorno alla normalità, fa sentire i suoi effetti anche su persone che in precedenza non avevano mai sofferto di depressione.
I tempi lunghi dei vaccini, l’incertezza, la solitudine, la confusione informativa tra la popolazione, unita alla mancata socializzazione e all’isolamento, sono ulteriori fattori di ansia.
I soggetti più a rischio sono i giovani, gli adolescenti, le donne (il tasso di occupazione femminile è sceso al 48,8% dal 50,1%) e gli anziani; è quindi necessario rafforzare il tessuto sociale, dicono gli esperti, ma non basta. Durante il lockdown per esempio, il 75% dei servizi di consulenza psicologica sono stati gestiti via Internet ma c’è da chiedersi, se questi servizi possano sostituire le visite in presenza.
La comunità scientifica ha da tempo individuato nella medicina narrativa un sopporto innovativo ed efficace alla cura della depressione: nella narrazione, nell’uso delle parole giuste ci può essere una risorsa per affrontare la depressione nella pandemia. Per questo è stato appena pubblicato il libro Medicina Narrativa, un punto di svolta per prendersi cura della depressione” (Edizioni Effedì, disponibile in tutte le librerie), scritto coralmente nel 2020 tra le eccellenze della psichiatria italiana e le eccellenze nella medicina narrativa in Italia.
«L’utilizzo appropriato della medicina narrativa è una risorsa che crea il punto di svolta da cui ripartire e ricostruire un tempo nuovo, andando oltre lo slogan della nuova normalità» dice Maria Giulia Marini, Direttore Scientifico dell’Area Sanità e Salute della Fondazione ISTUD e presidente di EUNAMES, European Narrative Medicine Society. «E per svoltare dall’usuale processo di cura, bisogna mettere in campo tutte le forze empatiche, non quelle buonistiche, ma quelle intelligenti che poggiano su competenze specifiche. Ciò vale sia per il benessere mentale ma più in generale per la salute pubblica».
Il libro è patrocinato dalla Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (SINPF), dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP) e da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, scritto con Fondazione ISTUD e mette a disposizione di tutti i professionisti dell’aiuto strumenti concreti basati sulla medicina narrativa: dalla scelta delle parole “che curano”, alla diagnosi e terapia narrativa delle biografie delle persone con disturbi mentali, dei loro familiari, fino alla diagnosi dello stato di benessere mentale dei professionisti sanitari, anch’essi travolti da questo tsunami. Inoltre spiega anche come creare empatia in formato digitale, perché questa è stata e sarà ancora per molto tempo la modalità di interazione dei professionisti sanitari, dagli psichiatri, agli psicoterapeuti, medici di medicina generale, counselor e assistenti sociali.
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