Come la maggior parte delle bambine, da piccola sognavo di diventare principessa. E se poi, crescendo, ho abbassato un po’ le mire immaginandomi attrice, maestra di sci, rockstar o skipper, a un certo punto ho scoperto quanto mi piacesse scrivere.
Quindi, nel momento in cui un incontro fortunato mi ha trascinato nella prima redazione, la mia strada ha preso la direzione che sto percorrendo da oltre 35 anni senza nessun tentennamento ai vari incroci. Infatti, amo il mio lavoro alla follia e ringrazio ogni giorno per essere così felice di svolgerlo. Anche adesso, nonostante il mondo che rotola verso il baratro costringa molti a buttarsi su un piano B.
L’ha fatto, per esempio, Valentina Marchese. La quale, con appagata fierezza, racconta: Porto i fiori per le strade, tra la gente (trovate la sua testimonianza, su Confidenze in edicola questa settimana). Assunta in uno studio notarile subito dopo essersi laureata, Valentina si sentiva stritolata dal ruolo. E se nel tempo libero confezionava ghirlande e centrotavola floreali, complice il lockdown ha trasformato la passione per il verde nella sua nuova professione.
Quando sento (o leggo) storie di questo genere, ammetto che provo una sorta di invidia. Infatti, anche a me piacerebbe da pazzi amare tanto un’attività diversa dallo scrivere, per avere almeno l’illusione di poter inventare un lavoro alternativo nel caso dovessi perdere il mio. Invece, ogni volta che penso a un nuovo ambito da abbracciare, vedo solo disastri.
Ho provato, per esempio, a immaginarmi creatrice di moda. Convinta che sul mercato manchino costumi da bagno semplici come il mio stile (cioè al limite dello scarno), non saprei innanzitutto disegnare i modelli. Non avrei la minima idea di come muovermi nel mondo dei tessuti. E brancolerei nel buio dei negozi a cui far vendere il mio marchio. Morale, il progetto morirebbe ancora prima di nascere.
Sono passata, allora, a prendere in considerazione ciò che la pandemia mi ha obbligata a fare: cucinare ogni sacrosanto giorno. La puntualità ai fornelli, ovviamente, ha migliorato le mie performances. Questo non significa, però, che sia pronta per aprire un servizio di catering.
Pur preparando paste abbastanza buone ed essendomi avvicinata alle pietanze (che in casa mia non si erano mai mangiate), non mi vedo proprio a organizzare cene per 12 persone dall’antipasto al dolce. Potrei dirvi che mi bloccherebbe l’ansia di prestazione. Ma preferisco confessare che il livello non è ancora assolutamente degno.
Ci sarebbe, allora, l’idea di darmi all’orto e vendere prodotti a chilometro zero. Peccato che l’esperimento di coltivare verdure sul terrazzo, iniziato il novembre scorso, a oggi abbia regalato solo due cespi di insalata e lo sgomento di vedere le cipolle ancora in fase embrionale.
Un’ultima possibilità, carinamente suggerita da qualcuno fedele ai miei post, è quella di scrivere un libro. Pur lusingata dal suggerimento, quando sento tale proposta mi sento male. Perché se ho detto che mettermi alla tastiera è un’enorme fonte di soddisfazione, sono ben conscia dei miei limiti. Infatti, un conto è mettere insieme 600 battute. Un altro è riuscire a ricordarsi, quando sei arrivato alla stesura del 27° capitolo, cosa avevi scritto nel primo. E riuscire, quindi, a proseguire con una certa logica.
Insomma, nonostante ci siano volte in cui penso al mio piano B, la dura realtà mi palesa un sicuro insuccesso. Perciò, facendo i miei più sentiti complimentoni a Valentina Marchese per avercela fatta, io regredisco. Torno bambina. E continuo a sognare di diventare, un giorno, principessa.
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