Ulisse: “I figli restano tuoi figli anche se non ti conoscono, perfino se le circostanze te li rendono ostili, ma una moglie che ti tradisce diventa una estranea, non avendo legami di parentela e di sangue. Non ho mai dubitato di Penelope in tutti questi anni, ma i dubbi mi assalgono proprio ora che i miei piedi calpestano, così spero, l’arido suolo della mia Itaca. Quando le onde tempestose hanno messo in pericolo la mia nave, quando i venti hanno spezzato i robusti alberi che reggevano le vele, il mio pensiero correva a Penelope che aspettava il mio ritorno e questo pensiero mi ha dato la forza di combattere le avversità con cui gli dèi, invidiosi dei miei successi, hanno voluto rendere difficile il mio ritorno”.
Penelope: “Ho contato i giorni i mesi e gli anni e la somma mi sgomenta. Ogni giorno ho indirizzato i miei pensieri all’amato Ulisse, ho ripercorso mille volte i giorni felici e le notti amorose che ho fatto rivivere nella memoria notte dopo notte. (…) Troppo si è prolungata la tua assenza, mio amato Ulisse, e prego gli dèi che il mio amore si tramuti in rancore per la tua assenza che non ha giustificazione. (…) Ciò che temo, più delle Sirene e delle Maghe, è che tu sia stato sedotto dalle arti di una delle tante femmine perverse che gli dèi spargono sul cammino degli uomini, e che sia questa la vera spiegazione della tua lunga assenza. Anche gli uomini più solidi sono facile preda delle tentazioni”
Il verso a Ulisse lo hanno fatto in tanti. Omero ha dato il là, e nei millenni si è scatenata una polifonia di testi. Intorno a lui, infiniti caratteri, trame da distendere e allargare all’infinito. Il fascino della guerra, delle acque abitate, della tempesta, della fiducia, della temperanza, della perdizione, del tempo, dell’amore, della passione: tutto, in quel lungo viaggio, ha il sapore di cose delle quali ognuno di noi conosce, o teme, il peso.
Malerba, stimolato da una conversazione con la moglie Anna e con Pietro Pucci, studioso dei poemi omerici e professore di greco antico alla Cornell University di Ithaca (NY), tirò in ballo, sulle pagine, regalandole spazi da protagonista, Penelope. Due voci, alternate. Quella dell’uomo e quella della donna. Due punti di vista, due lontananze (venti anni fra guerra e viaggio di ritorno) condite di aspettative e ricordi e quotidianità distanti, non un ritorno ma due, quello di Ulisse a Itaca e quello di Penelope che deve trovare la strada per riconoscere l’uomo che lungamente ha atteso.
Troppe cose, nell’Odissea, restano incastrate e prigioniere silenziose della strofa. La prosa può dare voce, liberare dalla perfezione del poema una storia più grande, infinitamente complessa. Non la storia di una guerra: la guerra ha sempre una serie di motivi, magari tanti, magari assurdi, magari sbagliati, ma riconoscibili, enunciabili. Il poema e la guerra vanno d’accordo: colpi secchi, mira perfetta. Non la storia di un viaggio: ogni viaggio, anche il più lungo, ha una strada o almeno un sentiero o una parte di cielo o una distesa d’acqua. Il poema e il viaggio vanno d’accordo: margini, mete, obiettivi. La storia di un’attesa, quella in un poema resta sospesa. La storia di una parola data, il peso di un giuramento, un figlio da crescere, una terra da preservare, un corpo da mantenere vivo, pulsante eppure intoccabile.
Itaca per sempre è un dialogo serrato tra Ulisse e se stesso e tra Penelope e Penelope e Penelope e ancora Penelope. Riconoscersi è arduo. Per chi torna. Per chi ha atteso.
“Bastava qualche ricordo della casa, la prova dell’arco e una cicatrice per affermare che quello era veramente Ulisse? Il mondo è grande e sono tanti gli uomini forti che possono piegare un arco”.
Luigi Malerba, Itaca per sempre, Mondadori
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