“Ho aperto gli occhi già arrabbiato. Dalle otto in poi dentro la tenda faceva un caldo insopportabile. Il sole batteva sulla tela per obbligarci a uscire e stroncarci meglio una volta fuori. I campeggiatori però erano felici. Certe volte si lamentavano, cascavano dalla stanchezza, perdevano brandelli di pelle, ma rimanevano felici, continuavano a pensare che l’estate fosse la stagione più bella. Di colpo mi è tornato tutto. Il mio corpo si è teso e ho rivisto Oscar, il parco giochi, la buca. Non mi sono mosso, avevo gli occhi fissi su una macchina. Ho provato a immaginare la duna in pieno giorno, con la gente che passava, le risate e gli aquiloni. Fuori non sentivo nessuno. Mi sono ricordato che la mia famiglia e il cane erano andati a Dax e sarebbero tornati per pranzo. Ero solo. Era la mia mattinata benedetta, quella in cui avrei potuto dormire fino a mezzogiorno, godermi una mezza giornata senza che i miei genitori mi costringessero a divertirmi. Invece mi sono alzato e ho fatto qualche passo nella nostra piazzola. Mi avevano lasciato dei cereali sul tavolino pieghevole. Gli asciugamani colorati erano stesi sul filo che mio padre aveva teso tra due pini”.
Léo è in vacanza con la famiglia, madre, padre, fratello, sorella e cane, in un campeggio delle Landes. L’atmosfera è quella allegra dei villaggi in agosto, tanta musica, tante feste danzanti, tanta voglia di divertirsi e lasciarsi alle spalle le fatiche dei mesi invernali. Tutti sanno come fare. Tutti tranne Léo.
Léo che nella prima frase di questo romanzo (in realtà racconto lungo), opera prima del ventisettenne Jestin, ci confessa qualcosa: “Oscar è morto perché l’ho guardato morire senza muovere un dito. È morto strangolato dalle corde di un’altalena”. Poco prima Léo aveva visto Oscar ballare con Luce, la ragazza che gli aveva rubato il cuore. Quando, tornando verso casa, lo ha visto attorcigliato fra le corde, ha pensato stesse facendo un gioco, uno di quelli che si fanno per darsi piacere. Ma Oscar non aveva uno sguardo soddisfatto, Oscar era terrorizzato. E Léo, occhi negli occhi, è rimasto fermo a guardare. Poi, quando il corpo è collassato, lo ha preso, lo ha trascinato verso le dune e lo ha sepolto dentro una buca che i bambini, instancabili scavatori, non avevano ricoperto.
Le pagine di Jestin sono tremende e perfette. Parlano della responsabilità che ognuno di noi ha verso le azioni altrui, della tristezza, dell’invidia, della solitudine. Léo è tremendamente solo. È divorato da un desiderio d’amore che si intreccia all’odio, alla repulsione verso se stesso. Léo è un adolescente in piena crisi sociale.
A dare una risposta alle domande che continuerà a porsi febbrilmente (“Devo confessare? Sono un assassino?”) nelle ore successive – passate a immaginare un amore vero con Luce, complici qualche bacio e un amplesso in una capanna sulle dune – sarà un salvataggio avvenuto nelle acque dell’oceano. Luis, il suo unico amico del campeggio, si è buttate tra le onde. Un’apnea troppo lunga. Il bagnino non ha esitato a tuffarsi e a trascinarlo a riva.
Una lettura scomoda. Che raccomando a genitori e figli.
Victor Jestin, Caldo, edizioni e/o
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