L’articolo Qui ci si allena all’onestà (su Confidenze in edicola adesso) parla di una scuola di boxe a Torre Annunziata (Na) che, grazie allo sport, tiene i ragazzi lontani dai pericoli della strada. Vi consiglio di leggerlo, perché la storia è emozionante. In più, offre tanti spunti di riflessione.
A me, per esempio, ha fatto ovviamente pensare al concetto di onestà legato ai guai giudiziari. Ma anche a quello riferito all’etica. Tant’è che mi ha spinta a controllare l’esatto significato di questo vocabolo, che la Treccani definisce “la qualità interiore di chi si comporta con lealtà, rettitudine e sincerità, in base a dei principi morali ritenuti universalmente validi”.
Perbacco, più che da un dizionario sembrano parole uscite da un libro delle fiabe. Nella realtà, infatti, i comportamenti corretti sono un bene piuttosto raro. E i principi morali universalmente validi hanno contorni poco definiti. Sotto il profilo sia materiale sia etico.
Basta ascoltare un telegiornale per accorgersi che viviamo in un mondo di guerre e ruberie, neanche fossimo tornati al Medioevo. E che la gente corretta al 100% si conta sulle dita.
Tutto questo è abbastanza inspiegabile visto che pochissimi individui dichiarano brama di potere e ricchezza da raggiungere senza esclusione di colpi. No, se ci descriviamo siamo tutti buoni, rispettosi del prossimo, modesti e magicamente onesti.
Peccato che, poi, sul posto di lavoro i colleghi sono pronti a farsi le scarpe. E nella vita privata (alcuni) amici (apparentemente) fidati ne sparano a raffica su chi frequentano con piacere (!!!).
Non so voi, ma a me tutto questo fa rabbrividire. Perché, nella mia ingenuità, sono convinta che un filo di buona volontà e qualche buon principio regalerebbero a tutti una vita molto più fluida. Ma se ce la auto-neghiamo, a mio parere è per la natura dell’essere umano. Che parte bene, ma poi si perde.
Per averne la prova basta passare un pomeriggio in un parco e osservare i comportamenti delle famigliole. I piccoli, già prepotenti nonostante quasi non sappiano ancora camminare (come dicevo fa parte della natura umana), vengono redarguiti in continuazione dai genitori, impegnati nell’inculcare nella prole valori di correttezza e generosità d’animo: «Impresta le macchinine al bimbo», «Giocate insieme con la tua bambola». «Invita anche gli altri a mangiare la merenda insieme ai tuoi amichetti».
Insomma, all’inizio della giornata le intenzioni pedagogiche sono tra le migliori. Ma appena un giocattolo scompare o si rompe, si scatena un putiferio che cancella ogni ambizione di trasmettere alle nuove generazioni altruismo e lealtà: «Recupera subito le tue macchinine». «La bambola è tua, fattela ridare». «Alla merenda fai partecipare solo chi vuoi tu».
Mamme e papà di questo tipo (ahinoi, forse troppi) sono indubbiamente educatori ondivaghi che creano nei poveri bambini un pericoloso mix di disorientamento e totale confusione tra il bene e il male («Devo puntare sull’integrità o sulla scorrettezza?»). Nel quale i figlioletti rischiano di rimanere ingabbiati anche nel futuro.
Tant’è che, nonostante le sgridate dell’infanzia, non diventeranno necessariamente adulti onesti. Perché alla prima difficoltà per guadagnare (o mantenere) una posizione di privilegio, tornerà loro in mente che cambiando registro forse è più facile cambiare il corso delle cose.
Nelle vicende più critiche, questo può portare a dimenticare che rubare è un reato gravissimo. In situazioni meno gravose, ad adottare comportamenti poco sinceri o, comunque, ben lontani dalla rettitudine. In entrambi i casi, pensare che reagire con slealtà sia del tutto plausibile è uno degli annosi problemi di una certa fetta dell’umanità. Quindi, ben venga una scuola che allena a essere onesti.
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