Ora sul blog la storia più apprezzata del n. 48
La incontravo fatalmente ogni mattina, lei ricambiava il mio sguardo e poi tornava alla sua segreta esistenza. Non avrei mai tentato un banalissimo approccio, se la sorte non mi fosse venuta in aiuto
STORIA VERA DI MAURIZIO M. RACCOLTA DA ANNALUCIA LOMUNNO
La incontravo ogni giorno, e mi chiedevo come fosse. Era un gioco superficiale per me, mi ubriacava quasi, mi piaceva. Ogni mattina sapevo che l’avrei vista, non poco, le sorridevo con gli occhi: mi pareva di esistere solo per questo. Dal panettiere per esempio, il suo pane salato o in alternativa le sue baguette erano abitudini quasi prevedibilmente condivise, il piacere delle piccole cose. Sapevo anche che poi si sarebbe fermata in edicola, che avrebbe dedicato molto tempo al suo giornale preferito. Che l’avrebbe comprato e sfogliato quasi divorandolo. E che poi si sarebbe rifugiata in un bar per assaporarlo meglio con un cappuccino di fianco alle dita. Non la seguivo, o meglio, mi costava ammetterlo, confessarlo. Frequentavamo gli stessi luoghi al mattino ed era come se lei si sentisse quasi al sicuro, in questa nostra routine da finti sconosciuti. In realtà di lei sapevo giusto che abitava nel mio stesso quartiere e che si chiamava Giulia, nient’altro. Non avevo altre informazioni, la vedevo molto sola, ma anche molto fiera di proteggere la sua singletudine e la sua indipendenza. Non scambiava molte parole con gli altri. Nel suo bar, sceglieva un tavolino appartato e leggeva. Spesso aveva con sé dei libri, che aggiungeva al suo giornale e alle liste per la spesa. Sì, un po’ la spiavo, la controllavo, la studiavo. A Giulia piaceva prendere appunti, mescolare le cose, confondersi. Perché quando sembrava immersa nel suo romanzo, poi di colpo mollava tutto, prendeva un’agenda molto piccola, e controllava che l’elenco per il supermercato fosse a posto. La sentivo quasi sussurrare i nomi delle cose da comprare, dei piatti da preparare. Appostato come un detective, non volevo perdermi un dettaglio, un tassello del suo frigo, un desiderio, magari un suo progetto. Volevo capirla, comprenderla, anzi, intuirla. Ma quello che vedevo non sarebbe mai bastato. Non potevo intuire quanto fosse felice o infelice, o se fosse innamorata, come fosse tutto quel tempo che non era con me. Se tutte quelle parole che leggeva, e cancellava e che spesso beveva in fretta come il suo cappuccino fossero importanti, o potessero raccontarmi qualcosa in più. Lei era molto semplice, non indossava grandi vestiti, scarpe importanti. Era bellissima, e sapeva giocare d’azzardo con me, ogni giorno. E non rinunciava mai a ricambiare il mio sguardo, mai. Però mi mancava tutto di lei. Il suo ottimismo, il suo pessimismo, la potenzialità delle sue giornate. Ma mai avrei tentato un banalissimo approccio da latin lover, no. Non ero il tipo, non volevo fare il primo passo, ed ero forse abituato a una vita molto facile in amore. Avevo tradito, ero stato tradito, e in verità, nulla mi aveva mai fatto veramente male. Le mie relazioni erano sempre state piene di contraddizioni, e di leggerezza anche, non avrei saputo come fare con lei, come reinventarmi. In fondo restava una ragazza qualunque, molto intrigante, che fatalmente incontravo ogni mattina, e che poi si disintegrava in un attimo, tornando ai ritmi della sua segreta esistenza. Sì, era un gioco in effetti, però tutte quelle domande che mi ponevo su di lei, mi sembravano di colpo sempre più necessarie. Sarà buona, sarà furba, saprà amare, saprà amarmi.
Invecchiavo male forse, o magari tentavo nuovi percorsi affettivi, nuove strade, un modo inedito di vedere le cose, gli incontri, le opportunità, la vita stessa. La pandemia mi aveva insegnato a non sottovalutare i dettagli, a non sottovalutare i segnali, anche quelli apparentemente più banali. Di lei provavo a inventarmi ogni cosa, le sue strane liste mi affascinavano. Pensavo che avesse molti appuntamenti, molti impegni, e poi invece resettavo tutto per immaginarmela sola, sempre, con una vita vuota. Come in quelle mattine, in cui c’era una nostra strana familiarità a dominare particolari, sviste, errori e realtà. Quando io fingevo di non interessarmi a lei, ma sceglievo i suoi stessi luoghi, il resto del mondo sembrava altrove. Eravamo nel posto giusto, entrambi. E tutto quello che sarebbe venuto dopo, non sarebbe mai stato all’altezza dei suoi occhi, del suo mistero, di quei minuti condivisi segretamente, profondamente.
Pensavo che avremmo dovuto fare l’amore subito, come capita in certi film. Che dovevamo sì, tentare una trama spregiudicata per quell’attrazione sommessa, sommersa, ma costante, forte e indispensabile. Ma poi non accadeva nulla. Giulia andava via, e io dovevo ricordare a me stesso, che avevo scoperto il suo nome per caso, dal panettiere, e che dovevo togliermela dalla testa. Abitavamo nello stesso quartiere, e lei mi piaceva moltissimo, ma non era scontato che facessimo parte dello stesso pianeta.
Un giorno ho scelto deliberatamente di non percorrere la sua stessa strada, di non seguirla, di non studiarla. Ho disertato i nostri luoghi e sono andato oltre. Non è stato difficilissimo rimuoverla dai miei pensieri. La quotidianità ha preso il sopravvento, le mie amiche, le aspiranti fidanzate, le aspiranti amanti. E poi ovviamente il lavoro, le partite a tennis, le cene fuori. Tutto sembrava così reale, così importante. Ogni tanto, mi stupiva il fatto che tentassi di incontrarla ovunque, ma allo stesso tempo, continuavo a impormi quella forma di realtà, la mia routine, l’unica possibile. L’immagine di Giulia sarebbe svanita prima o poi, si sarebbe come smantellata. Cambiavo panettiere, edicolante, bar: tre cose facili, azioni precise che miravano al cuore, il mio. Volevo dimenticarla, o meglio, volevo rimuovere una specie di gioco ossessivo, una strana dipendenza, una finta e traballante familiarità erotica. Ma Giulia era destinata a tornare nella mia vita, in un’imprevedibilità che mi avrebbe sorpreso e travolto. Sarebbero bastati un’inaugurazione e un amico comune. Un coraggioso amico comune che aveva deciso di investire i suoi risparmi in una boutique, invitando il mondo. Quella sera il mio quartiere sembrava pieno di cose che luccicano. Quel negozio sapeva di fiducia, ottimismo, di rinascita. Io ero lì piuttosto scettico e solo, e Giulia era nuovamente vicina. All’inizio non l’avevo riconosciuta, era sexy, aveva un abito scollatissimo, sembrava una diva irraggiungibile. Ma era lei, bellissima comunque. Non potevo perdere l’occasione, le ho portato un bicchiere, e ho iniziato a parlare con lei come se ci conoscessimo da tempo. Sì, quella storia sospesa aveva proprio bisogno di una trama importante e di un’attrazione autentica, di sentimenti autentici. E noi eravamo pronti a non lasciarci, a non lasciare che tutto finisse lì. Avevo bisogno di rapirla, di fare l’amore con lei, di sentirmi fiero, di fare sul serio. Di sentirmi vivo. ●
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