Le baby gang e i nostri figli

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Dilaga la violenza tra i giovanissimi, cosa dire ai nostri figli

Su Confidenze di questa settimana Maria Rita Parsi commenta il fenomeno delle baby gang che sta dilagando un po’ in tutte le città d’ Italia. Nei giorni scorsi a Milano è stata fermata una baby gang che stazionava nei giardini antistanti al Politecnico di Milano, in Piazza Leonardo Da Vinci, dove ragazzini di neanche 14 anni aggredivano gli studenti mentre si recavano a lezione, per derubarli.

Per chi come ma ha un figlio diciassettenne che ha iniziato a uscire il sabato sera con gli amici l’argomento tocca da vicino e di recente ho avuto modo di capire che non si tratta di una delle tante leggende metropolitane. Settimana scorsa una cara amica mi ha telefonato sconvolta perché suo figlio, coetaneo del mio, è stato aggredito proprio da una baby gang mentre rientrava a casa il sabato sera. Lui e altri due amici sono stati circondati da un gruppo di ragazzini più piccoli di loro (italiani, per chi pensasse subito alla caccia allo straniero) che li hanno minacciati con un coltellino intimando di consegnare orologi, cellulari e portafoglio. Non contenti del bottino, li hanno quasi tenuti in ostaggio per un’ora chiedendo dove abitavano, che scuole frequentavano e via dicendo.

Per i ragazzi lo spavento è stato tanto, e nonostante fossero più grandi, nessuno di loro ha pensato di reagire e di fermare gli aggressori con la violenza, perché naturalmente nessuno di loro è stato abituato ad alzare le mani né a frequentare ambienti dove domina la legge del più forte. Invece le strade delle grandi città di notte si trasformano in territorio di nessuno e nonostante il pullulare di locali della movida notturna, basta girare l’angolo della strada per fare cattivi incontri. Cosa insegnare allora ai nostri ragazzi?

Quando ho raccontato l’episodio in casa (anche un po’ per allertare mio figlio) mio marito, più pragmatico di me, ha commentato dicendo che “bisogna imparare a difendersi”. Ma come? Ho risposto io, quando erano bambini gli abbiamo sempre detto di non alzare mai le mani su nessuno, di non prendersela mai con chi era più piccolo di loro, e oggi invece gli diciamo il contrario e che porgere l’altra guancia è da fessi?

Immagino come si siano sentiti impotenti questi tre ragazzi davanti alla minaccia di un coltellino e come in quel momento abbiano sentito venir meno anche quella militanza comune che è l’adolescenza, quel sentire comune che dovrebbe unire le generazioni di ragazzi e non dividerli.

Il figlio della mia amica ha raccontato che questi ragazzini avevano solo una grande rabbia dentro che li ha portati persino a prendere a calci e calpestare i cellulari appena rubati. Quando nei giorni seguenti c’è stata la denuncia alla Polizia e il successivo riconoscimento delle foto segnaletiche, molti di loro risultavano dati in affido a zii o parenti vari e comunque privi di un nucleo familiare di riferimento. I loro gesti urlano una gran rabbia, quella di non essere ascoltati in una società del benessere dove comunque si sentono isolati ed emarginati, dove già a 15 anni i destini sembrano essere decisi, il divario sociale è enorme e infrangere le regole diventa un modo per dimostrare a tutti che esistono. Non è un modo per scusarli ma forse se il loro tempo venisse impegnato in altro modo, magari facendo già dei piccoli lavoretti, la sera non avrebbero così tanta voglia di andare in giro a far casino. Ha ragione Maria Rita Parsi quando dice che le baby gang sono una sconfitta per tutti perché pensare che ragazzini di 13-14 anni non abbiano di meglio da fare che taglieggiare loro coetanei e ragazzi più grandi mette solo una gran tristezza.

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