Sul blog, una delle storie più apprezzate del n. 5 di Confidenze
Con Giovanni avevo condiviso il primo bacio e tanti momenti spensierati, ormai lontani. E allora perché sapere che lui non c’è più mi fa questo effetto? Forse una parte di me sente ancora il bisogno di congedarsi da lui
STORIA VERA DI RENATA F. RACCOLTA DA LORENZO IERO
Io sono stata adolescente negli anni Novanta. A quei tempi non avevamo il cellulare, perciò per chiamare usavamo le cabine telefoniche e per scattare le foto una macchina fotografica munita di rullino.
Vicino a casa mia c’era una piazzetta dove m’incontravo spesso con gli amici. È lì che sono sbocciati i nostri primi amori, fatti di baci rubati e di promesse romantiche.
Ricordo che un giorno la mia migliore amica Simona era arrivata in compagnia del suo vicino di casa, Giovanni, un ragazzo timido e molto carino. Tra me e
Giovanni era nato subito un feeling e per un’estate intera avevamo fatto coppia fissa. Per un po’ siamo stati anche la coppia più invidiata del rione.
Crescendo, ho imparato a mantenere un certo distacco con il passato, forse per non rischiare di rimanere legata a esso. La chiamata improvvisa di Simona, però, riapre bruscamente il cassetto dei ricordi.
«Una vera tragedia» dice la mia amica d’infanzia dopo avermi dato la brutta notizia. «Già» mormoro, mentre osservo le vene gonfie sul dorso della mia mano. «Non ci posso ancora credere».
La sento sospirare. «Figurati che colpo mi è preso quando l’ho saputo. Su Facebook è pieno zeppo di messaggi di cordoglio. Ma tu non ce l’hai Giovanni tra gli amici, scusa?».
Ci penso su. «No, mi sembra di no. Ormai ho perso i contatti con tutti quelli di giù».
«Però voi eravate più che semplici amici, Renata. Mi sembra che siate stati insieme, no?». «Sì, ma figurati. Era una cosa così, di poco conto». Quei tempi lontani sono ormai un ricordo sbiadito per me.
«Dev’essere strano, però, pensare che una persona con cui sei stata insieme adesso non c’è più». Rimane in silenzio, probabilmente in attesa di una mia reazione, ma io sinceramente non ho molta voglia di rivangare il passato: ormai abito a Bologna e ho un compagno che amo.
«Sì, è molto triste» dico alla fine, un po’ forzatamente. Non perché non provi davvero dispiacere, ma mi provoca disagio esternare il mio malessere.
Dopo averle promesso che l’avrei richiamata, riattacco e riprendo a scrivere al mio laptop. Carlo dovrebbe tornare a momenti e per colpa di Simona sono in ritardo con la consegna di lavoro. Ammetto che quella chiamata mi ha scombussolato. Non so come sia venuto in mente a Simona di telefonarmi solo per dirmi che la mia cotta di un secolo fa adesso non c’è più… Abbasso gli occhi: le mie dita sono sospese a mezz’aria sopra la tastiera del pc e non smettono un attimo di tremare.
Mi alzo di scatto e corro in bagno per sciacquarmi la faccia. Come uno schiaffo violento, tutti i ricordi con Giovanni mi colpiscono all’improvviso: le giornate insieme al luna park, i tuffi in mare dalla barca di suo padre, i pomeriggi a guardare Mtv… Quando Carlo rincasa, mi trova sullo sgabellino in bagno a piangere a dirotto. Mi aggrappo a lui con tutte le mie forze. Dopo avergli spiegato tutto, Carlo mi rincuora.
«È normale provare tristezza per la morte di una persona a cui hai tenuto molto da giovane. In fondo, ha rappresentato una pagina importante della tua vita».
«Ma io non ci pensavo più, a lui» dico asciugandomi gli occhi. Non riesco a smettere di piangere. «Non riesco a capire questa mia reazione esagerata».
Non volevo rivelarmi a Carlo in tutta la mia debolezza. Con lui mi sono sempre dimostrata forte, sicura di me.
Lui, dal canto suo, si dimostra molto comprensivo.
«Anche se per poco, hai vissuto delle emozioni intense insieme a lui, che non puoi cancellare. E anche se non ci pensavi più, quelle emozioni sono ancora dentro di te e lì rimarranno per sempre».
Lo guardo perplessa. Probabilmente ha ragione.
Quella notte non riesco proprio a prendere sonno. Ripenso ancora a Giovanni, al suo viso pulito, al suo entusiasmo per la prima playstation e per le canzoni degli
883. Tutte cose frivole, da ragazzi, che però adesso mi appaiono importanti, forse perché le abbiamo condivise insieme.
Chissà che uomo è diventato, che lavoro faceva. Chissà se in tutti questi anni qualche volta ha pensato un po’ a me.
Quando Carlo si sveglia, trova sul letto una montagna di vestiti. «Stiamo per fare un trasloco e non mi hai avvertito?» dice sbadigliando.
Mi avvicino a lui per dargli un bacio. «Ho preso un biglietto per Catania. Parto tra qualche ora» lo avverto, poi riprendo a sistemare la valigia.
Dapprima Carlo strabuzza gli occhi, poi si ricorda di Giovanni e si mette a sedere. «Pensavo non volessi più rivangare il passato… Ma sono felice che tu abbia cambiato idea».
«Ci ho pensato a lungo e credo sia giusto dargli un ultimo saluto». Mi fermo e lo fisso negli occhi. «In realtà ne ho bisogno io. Per passare oltre».
La vita è così: incontri tante persone, passi dei bei momenti insieme a loro, poi continui per la tua strada. Ma loro restano lì, in un angolo del tuo cuore. Quando meno te lo aspetti, i loro ricordi ti assalgono e ti ricordano che anche loro hanno fatto parte della tua vita.
Quando scendo dall’aereo, un vento caldo mi soffia tra i capelli. Dopo tanti anni, sono di nuovo a Catania, la mia città nera che tanto ho amato e tanto ho odiato. All’uscita dell’aeroporto c’è Simona ad attendermi. Mi butta le braccia attorno al collo e mi stringe forte a sé.
«Da quant’è che non ci vediamo, Renata! Mi sei mancata tantissimo».
Io ricambio l’abbraccio. «È così strano essere di nuovo qui. Non so se ho fatto bene o male a venire».
Lei mi prende per le spalle e mi fissa negli occhi. «Hai fatto benissimo, fidati di me». Durante il tragitto verso il nostro rione parliamo del più e del meno, evitando accuratamente di menzionare Giovanni, forse per non cadere subito nella malinconia.
Arrivate nel suo piccolo appartamento, sprofondo sul divano del salotto.
«Non mi sono ancora scusata per essermi auto invitata a casa tua, tra l’altro senza alcun preavviso» le dico mentre mi tolgo gli stivali. Simo agita una mano: «Ma scherzi! Altrimenti a cosa servono le amiche?».
Le sorrido, stanca. Ancora non ci credo che fino a ieri il mio unico pensiero fosse terminare quel lavoro al computer. Chi lo avrebbe mai immaginato che mi sarei ritrovata da un giorno all’altro a Catania per visitare la tomba di un uomo di cui non conosco praticamente niente dall’adolescenza in poi?
L’indomani siamo davanti ai cancelli del cimitero. L’aria è immobile, intrisa di rispetto. Simona era già venuta qui il giorno del funerale, perciò non impieghiamo molto a trovare la sua tomba. Il cuore mi batte forte e stringo la mano della mia amica per farmi forza.
Il viso della foto sulla lapide non è come lo ricordavo. Ha una barba folta e un’evidente stempiatura. Ma i suoi occhi timidi e umili sono rimasti gli stessi: gli occhi che mi guardavano mentre mi dichiarava il suo amore eterno.
Ho un groppo alla gola. Mi volto verso la mia amica e le sussurro: «Ti dispiace, Simo, se resto cinque minuti da sola con lui?».
Lei annuisce e si allontana.
Mi viene spontaneo parlargli, come se fosse davanti a me: «Ciao Giovanni, non so se ti ricordi di me. Sono la ragazza della piazzetta, quella che ti ha dato il primo vero bacio con la lingua» sorrido, mi abbasso per vedere meglio la sua foto. «Sono passati così tanti anni… per me ormai sei un perfetto estraneo, non so neanche perché sono qui». Poi lo fisso intensamente e solo allora capisco.
«Credo che volessi solo vederti per l’ultima volta, per dirti grazie per tutti i bei momenti che abbiamo vissuto insieme. Nel tuo piccolo, hai contribuito a rendermi la persona che sono ora.
Mentre venivo qui ho avuto un flashback: ti ricordi di quel giorno d’estate, quando ero arrabbiata con mio padre perché non voleva che uscissi di casa e sei venuto sotto la mia finestra per tenermi compagnia? Abbiamo passato tutto il pomeriggio a chiacchierare. Simona ci aveva soprannominati i Romeo e Giulietta degli anni ’90. A pensarci adesso, quel giorno mi hai fatto proprio divertire e mi hai reso felice». All’improvviso le mie guance si bagnano di lacrime, che non cerco nemmeno di trattenere. «Non ricordo la ragione precisa per cui ci siamo allontanati, forse non c’è stato un vero motivo.
Chissà che futuro avremmo avuto noi due, se fossimo rimasti insieme. Saremmo stati una coppia felice? Avremmo avuto dei figli? Forse adesso non saresti qui o forse io sarei comunque una vedova che parla da sola davanti a una tomba e piange il proprio marito defunto. Non so… Mi dispiace non essermi mai fatta sentire in tutti questi anni. Forse adesso sarebbe stato tutto diverso. Ma ormai è tardi per rimuginare». Mi alzo e mi asciugo le lacrime. «Ti ho voluto un gran bene, Giovanni. Riposa in pace».
Raggiungo Simona, che è seduta su una panchina intenta a messaggiare sul cellulare. «Tutto a posto?» mi chiede premurosa.
Io annuisco. «Avevi ragione. Ho fatto bene a venire».
In effetti, mi sento più leggera, come se mi fossi tolta un peso enorme dal cuore.
Chissà perché tendiamo a dimenticare tutte le persone con cui abbiamo condiviso momenti importanti della nostra giovane età solo perché intraprendiamo strade differenti. Abbiamo così tanta fretta di proseguire per la nostra da non voltarci mai a vedere se ci siamo persi qualcuno lungo il tragitto. D’ora in poi ci farò caso e tornerò indietro a cercarli, sempre. ●
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