«Sono felice?» è una domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi molto spesso. Perché se è vero che tale stato d’animo non è una condizione duratura ma fatta di tanti piccoli attimi, vale la pena (questi attimi) di non lasciarseli sfuggire.
Ha tristemente perso l’occasione Franca P, che nell’articolo Amo mio marito, ma l’ho capito tardi (lo trovate su Confidenze in edicola adesso) racconta di essersi accorta di quanto stesse bene accanto al consorte soltanto dopo che lui è morto.
Questo significa che la povera signora ha vissuto un matrimonio «stanco e noioso» (sono le sue parole) esclusivamente perché, quando erano insieme, non ha avuto l’accortezza di apprezzare le qualità del suo uomo.
Tutto ciò a me sembra davvero allucinante. D’altra parte, non riconoscere le fonti di felicità e non riuscire a viverle “in diretta” è uno sbaglio molto frequente. Non solo nelle questioni amorose. Infatti, troppo spesso mi è capitato di sentire gente rimembrare “in differita” un passato che ai tempi criticava.
Faccio un esempio, pensando al lavoro. Cresciuta (professionalmente) in una grande azienda, per 35 lunghissimi anni ho avuto a che fare con una valanga di colleghi lamentosi e negativi, nonostante fossimo in una bella struttura, impegnati in mansioni non certo da miniera, socialmente attivi grazie all’open space e, ciliegina sulla torta, forniti di una mensa in cui si mangiava meglio che al ristorante.
Cosa desiderare di più? Invece, pur trovandoci in una situazione del tutto invidiabile, si contavano sulle dita coloro che gioivano di tanta fortuna (che poi dovrebbe essere un sinonimo di benessere psicologico). E ogni mattina sapevamo che molte scrivanie sarebbero state occupate da gente avvolta in una mestizia degna del patibolo.
Poi, è scoppiato il Covid. In ufficio non c’è andato più nessuno. E quella stessa gente ha iniziato a rimpiangerlo, esattamente come Franca oggi rimpiange Paolo.
A mio parere, questa è la conferma di quanto l’essere umano sia spesso incapace, appunto, di apprezzare il presente. E, soprattutto, di quanta difficoltà abbia nell’appropriarsi dei tanti piccoli attimi di felicità che la quotidianità offre generosamente.
Certo, non sempre va tutto a gonfie vele e trasformare ogni giornata in frizzi e lazzi non è semplice. Ma la mia opinione è che ci si debba comunque educare alla gioia, sforzandosi di individuarla e, soprattutto, di apprezzarla subito, all’istante. In tutti i campi e senza mai arrendersi.
Lo sostengo perché credo che essere consapevoli dei momenti belli, esaltarsi per un gesto carino della dolce metà, un complimento sul lavoro o, semplicemente, per aver trovato posteggio in una strada trafficata sono tasselli importantissimi per fare di un banale mosaico (la nostra esistenza lasciata in balia di se stessa) una vera opera d’arte.
Per ottenere il risultato, però, è basilare continuare a chiedersi se si è felici. L’insistenza della domanda, infatti, obbliga eventualmente a cambiare registro. E scongiura il rischio di ritrovarsi, in là negli anni, pieni di rimpianti che si potevano evitare.
Se l’avesse fatto, probabilmente oggi non sarebbe troppo tardi neanche per Franca P. Nel senso che il destino, purtroppo, le avrebbe comunque portato via il marito. Ma, a tenerle compagnia, invece del rammarico resterebbero tanti ricordi felici della loro vita a due.
Ultimi commenti