Sono seduta a un tavolo durante una riunione di lavoro, con me ci sono i manager di un’azienda di informatica che deve esporre alla stampa le ultime novità; l’ufficio stampa e il responsabile della pubblicità dell’azienda per cui lavoravo allora.
Abbiamo appena terminato le presentazioni, quando il collega si volta verso di me e mi dice: «Portiamo un buon caffè a questi signori?». Io ho un attimo di smarrimento, sarei tentata di rispondergli che non sono qui per portare caffè, ma per raccogliere informazioni e scrivere un articolo. Ma poi per educazione e rispetto verso gli ospiti venuti a trovarci taccio e mio malgrado eseguo l’ordine. Viene invece in mio aiuto la ragazza dell’ufficio stampa, che sembra cogliere al volo il mio imbarazzo e si offre nel darmi una mano all’incombenza di portare i caffé.
Sono passati più di vent’anni da questo episodio, ma non l’ho mai dimenticato, risale a tanti anni fa, quando lavoravo come giornalista in un settore molto maschile, quale l’informatica, e fortunatamente non mi è mai più ricapitato di incontrare una persona così gretta, né di provare quel senso di vergogna e di svilimento del proprio ruolo professionale.
Vi ho citato questo esempio perché su Confidenze parliamo di discriminazioni delle donne portando le testimonianze di chi le subisce ogni giorno: piccoli gesti, parole, che ci sviliscono e penalizzano. Si parla tanto di diritti delle donne e gender gap nella società e nel mondo del lavoro, ma è sotto gli occhi di tutti come anche donne che occupano posizioni di potere siano spesso relegate a un ruolo di serie B.
Qualche esempio? È di qualche settimana fa lo sgarbo del ministro degli esteri ugandesi che in visita a Bruxelles è passato davanti alla Presidente della Commissione Europe Ursula Von Der Lyen senza nemmeno tenderle una mano per un saluto o degnarla di uno sguardo, mentre si dirigeva dritto sparato verso il Presidente Macron e Charles Michel. C’è voluto un diplomatico intervento del presidente francese Macron per riportare nei ranghi il ministro ugandese e fargli capire che, anche se donna, la Presidente della Commissione Europea meritava il suo rispetto. Mentre Charles Michel per la seconda volta faceva orecchie da mercante (vi ricordate la sedia mancante per la Von Der Lyen all’incontro con il Pemier turco Erdogan e Charles Michel che faceva finta di niente?).
Questi esempi ci dicono che non bastano le leggi sulle quote rosa, che è una questione di mentalità ed educazione e che molto possiamo fare noi in prima persona, come mamme, educando i figli maschi a dare la giusta considerazione alle ragazze non solo dal punto di vista estetico ma anche da quello intellettivo. A scuola si sta spingendo perché le ragazze intraprendano indirizzi di studi orientati alle materie scientifiche (Le famose STEM) fino a poco tempo fa predominio maschile e una recente indiagine della Fondazione Foresta Onlus condotta su un migliaio di studenti di superiori e università nel Padovano ha evidenziato come le ragazze siano 2,4 volte più attente al dibattito sulla parità di genere rispetto ai ragazzi e come molti stereotipi non siano stati superati dai giovani.
Per esempio quando ai agazzi è stato chiesto di descrivere con quattro parole il genere femminile. Il 50% degli intervistati lo ha definito come un bilanciato insieme di “bellezza, forza, affetto e intelligenza”; un ritratto che combacia con l’attuale rappresentazione del femminile proposto dalla nostra coscienza collettiva; un altro 40% invece ha rappresentato il femminile attraverso caratteristiche quali “maternità, fragilità, accudimento e sensibilità”. In altre parole, gli stereotipi che caratterizzano le differenze tra maschile e femminile sembrano così radicati da essere connaturati anche nelle nuove generazioni. C’è ancora tanto lavoro da fare.
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